Intervista al regista Daniele Costantini che con il suo lavoro ha reso omaggio al cinema di Pier Paolo Pasolini
L’idea di Accattaromanasce proprio da un racconto di Pasolini, “Il Rio della Grana”, scritto nel 1955, parte della raccolta “Alì dagli occhi azzurri”, un libro fantastico. Sei pagine a metà tra un racconto e un soggetto, che hanno subito catturato l’attenzione di Daniele Costantini, regista e sceneggiatore da sempre attento al mondo delle periferie, alle sue dinamiche e soprattutto ai personaggi che la abitano. Suo è il primo film sulle vicende della Banda criminale romana, “Fatti della banda della Magliana” del 2004.
La periferia è la vera protagonista di Accattaroma, con i suoi racconti legati al mondo di chi vive e sogna ai margini delle città. Un ambiente che Pasolini ha sempre vissuto e raccontato, sviscerandone l’anima e le particolari dinamiche sociali. Il film è ambientato nella borgata est di Roma, il Mandrione. Un luogo senza tempo, che poco è mutato con il passare degli anni: nonostante i graffiti, ora presenti, mostra sempre un degrado e un’anomia evidente, uno scenario che naturalmente invita ad una riflessione. Il film si discosta dal neorealismo, i personaggi sono creati dalla fantasia, mentre i loro nomi sono presi da un racconto sempre di Pasolini, “La notte brava”, poi diventato un film nel 1959 diretto da Mauro Bolognini.
La storia si svolge in un tempo narrativo molto stretto, dalla mattina al tramonto; la scelta del bianco e nero adottata dal Regista a e dal bravissimo Maurizio Calvesi, Direttore della fotografia, trasporta gli spettatori in un’atmosfera sospesa nel tempo, un vero attimo poetico. Le musiche che accompagnano le scene sono del Maestro Nicola Piovani, magistralmente riescono a potenziare tutti i sentimenti espressi dagli attori, dai dialoghi e dai costumi.
Uscito nelle sale il 9 maggio 2024, dopo essere stato presentato in anteprima al Festival del Cinema di Roma nel 2023, e aver ricevuto la menzione speciale dell’Associazione nazionale della Stampa cubana nell’estate 2024, Festival del Cinema di Gibara, a settembre è stato selezionato tra i 18 film rappresentativi del genio italiano, tra i quali è stato poi scelto il titolo che gareggerà per il Premio Oscar miglior film straniero 2025.
Fonte: YouTube
Mi racconti, perché hai deciso di realizzare il film in bianco e nero?
Il cinema più grande che sia mai stato realizzato è in bianco e nero, basta pensare al cinema che rappresenta l’espressionismo tedesco, ai film russi, anche a quelli americani di John Ford. I grandi capolavori del cinema italiano, anni Cinquanta-Sessanta, Bellissima, Rocco e i suoi fratelli, La dolce vita, Otto e mezzo, Accattone, Mamma Roma, La ricotta, Uccellacci e uccellini: il bianco e nero è quasi il colore del cinema, è impossibile pensare ad un film ispirato a quel mondo, a colori. Il film è per il 95% in bianco e nero, solo i sogni di due ragazzi hanno un colore di ispirazione surrealista, gli ultimi quattro minuti sono a colori, si esce dal Mandrione, mondo sospeso tra ieri e oggi, un mondo immaginario e si arriva al mondo reale che è a colori, dove Vittorio il protagonista cerca di trovare il Rio della Grana e la borgata del Gelsomino, senza trovarli, naturalmente…
Gli attori hanno quasi tutti lo stesso peso all’interno del film, sono ragazzi dalle caratteristiche fisiche moderne, belli, alti, anche questo denota come sia un film senza collocazione temporale certa, come è avvenuta la scelta del cast?
Sono tutti ragazzi giovani, poco più che ventenni, sono 12, solo uno aveva un’esperienza cinematografica alle spalle. Il cast era formato, sono ex allievi di una scuola di cinema. Con questi ragazzi avevo fatto degli stage, è avvenuto tutto in maniera naturale, sia per la conoscenza che per la predisposizione. Erano particolarmente adatti e abituati a lavorare insieme. Vittorio, personaggio di età compresa tra i quaranta e i cinquanta anni, il borgataro più grande, che apre e chiude il film è interpretato da Massimiliano Cardia, fondatore e proprietario di Studio Cinema.
Mi parli dell’aspetto produttivo, alquanto atipico per le logiche di produzione cinematografica, sia per i costi, sia per i tempi di realizzazione?
L’idea di quello che poi è diventato un film, nasce a Settembre 2021, avevo in mente di fare uno spettacolo teatrale inspirato agli Scritti corsari di Pasolini, così ho iniziato a mettere mani ai vari racconti. Parlando con Cardia, proprietario della scuola di Cinema dove tenevo dei corsi, gli dissi che volevo fare un’esercitazione complessa con i testi di Pasolini e poi fare delle riprese, lui subito disse: “Perché non ne facciamo un film?”. Poi dopo vari incontri, ragionando insieme, abbiamo deciso di realizzarlo subito, senza attendere i normali tempi previsti dalla produzione di un’opera che vede in primis la richiesta di contributi alle varie aziende pubbliche e private, o al Ministero. Procedure lunghe, minimo un anno. Massimiliano trovò dei soldi e io scelsi di non essere retribuito per il mio lavoro di regista e sceneggiatore. Il set era unico, tutto girato in esterni con luci naturali, tranne due piccole parti, le riprese sono durate 19 giorni. Così, con un budget molto ridotto, siamo partiti subito. Al progetto hanno poi aderito grandi professionisti, per la fotografia, per le musiche e per i costumi.
La narrazione del film scorre in un tempo che non è definito, né ieri e né oggi, il linguaggio usato è tipico degli anni Cinquanta, ma la fisicità degli attori ci riporta al presente, mi piace ricordare come nel film non siano presenti cellulari e tablet, nonostante il racconto riguardi dei ragazzi: può essere un invito alla riflessione, senza giudizio, circa la realtà giovanile odierna?
No, no, non ci sono cellulari, né tablet, nessun riferimento alle tecnologie. Hai detto benissimo, questo può essere colto come un invito all’osservazione della realtà odierna, favorendo un momento di riflessione per il pubblico.
Francesca Chiarantano