Qual è la condizione della nostra rete idrica?
Martedì 22 marzo si è tenuta la giornata mondiale dell’acqua, quale occasione migliore, dunque, per approfondire la situazione idrica italiana. Purtroppo, c’è ben poco da celebrare e molto da sensibilizzare. Secondo il report ISTAT relativo al biennio 2018/2020, infatti, in media, in Italia, di tutta l’acqua estratta annualmente, il 42% viene persa e non raggiunge la destinazione prevista.
Come riportato dal FAI, inoltre, la dispersione è molto più accentuata nel settore civile, con perdite del 45,3%, mentre per le pratiche irrigue si stima invece una dispersione di acqua del 15% che si distribuisce lungo tutta la penisola, sebbene con evidenti oscillazioni territoriali.
Anzitutto, è bene sottolineare che gran parte dell’acqua utilizzata nel Bel Paese proviene dalle acque sotterranee, le quali costituiscono approssimativamente l’85% delle acque prelevate, con una percentuale di almeno il 75% in ogni regione ad eccezione della Sardegna dove si attesta al 20%. Sulla carta una fonte di approvvigionamento che dovrebbe ispirare fiducia nel cittadino; d’altra parte, invece, l’Italia è leader in Europa per l’acquisto in acqua minerale imbottigliata, tanto che il rapporto Censis suggerisce che circa il 30% degli italiani non si fida dell’acqua che esce dal rubinetto e preferisce acquistarla in bottiglia.
Entrando più nello specifico delle criticità della rete idrica italiana, il dato più eclatante riguarda gli acquedotti e il sistema di distribuzione acquifero che si snoda per 425 km: di questi, il 60% è stato posato oltre 30 anni fa e il 25% supera anche i 50 anni.
Fonte: Ambiente Ingegnere
Non solo, sempre citando il FAI, il tasso nazionale di rinnovo è pari a 3,8 metri di condotte per ogni km di rete: significa che a questo ritmo occorrerebbero oltre 250 anni per sostituire l’intera rete. Appare chiaro, pertanto, come la mancanza di investimenti non solo non riesca a sopperire alle mancanze odierne, ma, proiettata sul lungo periodo, alimenterà ulteriormente l’inefficienza della rete; basti pensare che in Italia si investe ogni anno in questo campo l’equivalente di 30 euro per abitante, contro gli 80 euro pro capite della Germania o i 90 della Francia, fino ad arrivare alla Danimarca, capolista con 129 euro.
A questo si aggiunge il mancato riutilizzo delle acque reflue o l’accumulo dell’acqua piovana, intercettata in Italia solo per l’11% dei 300 miliardi m3 che cadono all’anno. Un aspetto che, pur in parte minore, condividiamo con altri paesi europei, tanto che si valuta che l’Europa potrebbe arrivare a utilizzare sei volte il volume di acque trattate rispetto a oggi.
E qui si inseriscono i fondi del PNRR. Tra questi interventi, gli obiettivi principali riguardano l’installazione di strumenti tecnologici per la misura delle portate, delle pressioni e dei livelli d’acqua nei serbatoi, così come la pre-localizzazione delle perdite e interventi di manutenzione straordinaria, per concludere con l’installazione di “contatori intelligenti” per la misurazione dei volumi consumati dall’utenza.
Il legislatore, oltre a ciò, si impegna ad attuare alcune riforme volte alla semplificazione normativa e a garantire la piena efficacia nella governance dell’approvvigionamento e gestione dei servizi idrici.
Un primo passo, forse nemmeno sufficiente a recuperare le perdite già in essere, se si guarda al confronto impietoso con paesi come la Germania o la Francia dove le perdite d’acqua sono rispettivamente del 7% e 20%.
Alberto Fioretti