L’atteggiamento dell’Europa occidentale nei confronti della guerra in Ucraina
Da oltre un anno a questa parte, ci siamo abituati, nostro malgrado, ad ascoltare quotidianamente notizie legate a una guerra in Europa, tanto da occupare in maniera pervasiva la quasi totalità dei notiziari, assieme, naturalmente, alle decisioni e gli argomenti ad essa subordinati, dalle reazioni politiche a questioni più contingenti (vedi crisi energetica).
Adottando un punto di vista egoisticamente privilegiato, quello tradizionalmente inteso come occidentale, ci eravamo abituati a sentire parlare di guerre in paesi lontani, oppure in luoghi considerati, superficialmente, “poco civilizzati”, nei quali la rilevanza di un conflitto, tanto per mancanza di una approfondita conoscenza dello scenario, quanto per assuefazione alle news provenienti da quella specifica area geografica, appariva un male accettabile, quasi di background.
D’altro canto, un conflitto ai confini dell’Europa istituzionale, ma ampiamente all’interno di quelli geografici, ha scatenato reazioni profondamente emotive, a ogni livello sociale, al punto da portare a una mobilitazione complessiva di rare proporzioni negli ultimi decenni. Una compassione nei confronti di una scelta belligerante che, a queste latitudini, appare anacronistica, è forse sintomo di un approccio duale nei confronti della guerra e delle conseguenze a cui porta, se confrontata, invece con l’atteggiamento riservato ai conflitti di altre aree geografiche e culture?
Fonte: EUblog
Una domanda delicata e personale, a cui Barbara Serra, giornalista italiana di Al Jazeera, ha tentato di rispondere. In un suo articolo, si legge un’interpretazione che privilegia l’aspetto di scoramento nei confronti di una storia che non è maestra di vita, bensì va a ripetersi.
La giornalista afferma, infatti, che, da “Europea continentale”, quanto sente pronunciare da colleghi e amici europei la frase “Non riesco a credere che questo stia accadendo in Europa”, non ci vede un atteggiamento di superiorità, contrariamente la desolazione dovuta al fallimento dei tentativi fatti negli ultimi 75 anni per prevenire un’altra guerra sul suolo del Vecchio Continente. Una frustrazione che si manifesta nella sua forma più convinta e sentita proprio in quell’Europa Occidentale, nella cui cultura hanno lasciato un segno indelebile gli avvenimenti delle Guerre Mondiali Novecentesche.
Assumendo, ora, una prospettiva globale, attualmente sono in corso conflitti che coinvolgono, direttamente o indirettamente, 70 stati, tanto da giustificare investimenti in armi annui di 1.981 miliardi di dollari; il FMI, infine, stima che nel 2020 i costi dell’attività belligerante si attestino a circa 15.000 miliardi, equivalente al 17% del PIL mondiale. Come trovare, pertanto, un equilibrio?
Volgendo lo sguardo alla storia dell’umanità, dagli albori fino ad oggi, una delle poche protagoniste invariate è proprio la guerra. Ciononostante, non si propone, naturalmente, tra queste righe, di rassegnarsi e accettare passivamente un destino ineluttabile.
Al contrario, occorre mettere in campo le più pragmatiche e veementi azioni per cercare la pace, adoperarsi strenuamente al fine di perseguirla e mantenerla.
Alberto Fioretti