Un evento utile solo alla RAI per fare cassa con il denaro dei contribuenti, stordendoli con sinfonie affatto orecchiabili
C’è chi cantava “Rose rosse per te” come Massimo Ranieri nel 1970; c’è chi cantava “Ti regalerò una rosa” come Simone Cristicchi nel 2007 e c’è chi, nel 2023, non avendo nulla da dire, le rose ha preferito distruggerle.
Il Festival di Sanremo di quest’ anno verrà ricordato, oltre che per le pessime canzoni in gara, anche e soprattutto per la sceneggiata di Blanco. Il sedicente cantautore bresciano, nella serata di mercoledì ha, infatti, deciso di dare spettacolo devastando gli arredi floreali presenti sul palco durante l’esibizione, a causa di un guasto all’auricolare. Il tutto sotto gli sguardi attoniti di un pubblico ignaro, che mai avrebbe voluto assistere a una scena tanto brutale quanto gratuita. Ancora più imbarazzante, tuttavia, sono state le motivazioni, fornite dal cantante, per giustificare il suo gesto. Alla domanda di Amadeus sul perché avesse distrutto i fiori, simbolo della città di Sanremo, Blanco ha risposto che lo ha fatto per divertirsi. Una spiegazione puerile e banale quanto basta, idonea a descrivere quel vuoto ideale che imperversa da decenni nella musica italiana.
Sono anni che a Sanremo non si fa musica di qualità. Tanto che molti, al termine di questo raccapricciante “Festival dell’ipocrisia”, hanno chiesto un cambio di direzione artistica. Quella di Amadeus, invero, è sembrata, ancora una volta, una conduzione falsata dalla ricerca dell’audience. Non a caso, dopo la meschina figura di Blanco, molti hanno sollevato dubbi sulla genuinità della rappresentazione. Soprattutto, per ciò che concerne la reazione del conduttore, apparsa fin troppo pacata.
Ma come, proprio Amadeus, il cui temperamento focoso è balzato più volte agli onori delle cronache, si dimostra accondiscendente con un ragazzino ebete, che senza battere ciglio dichiara che per lui annientare le cose è sinonimo di estro creativo?
Tutti si sarebbero aspettati un duro ammonimento, se non addirittura un bel ceffone, per un gesto così sconsiderato. Ma, si sa, lo spettacolo deve andare avanti, costi quel che costi. E così, ecco sfilare canzoni l’una peggio dell’altra, che provano, pescando nel perbenismo nazionalpopolare, a rendere giovane un relitto del passato.
Un evento utile solo alla RAI per fare cassa con il denaro dei contribuenti, stordendoli con sinfonie neanche lontanamente orecchiabili. Del resto, quando si insegue solo il clamore, ci si appiglia a qualsiasi cosa per fare sembrare sublime ciò che è orrido. A partire dallo spazio dato a certi gruppi, sicuramente molto apprezzati dai giovani, che non cantano, ma si limitano a rappare, depauperando la musica di quella valenza poetica che dovrebbe avvicinare l’uomo alla bellezza.
In tal senso, anche da un punto di vista sociologico, il predominio dell’Hip hop sulla scena sta lentamente seppellendo la canzone italiana. Specialmente, alcuni suoi sottogeneri, come ad esempio il Trap, si spera di non vederli mai irrompere al Teatro Ariston, per i contenuti violenti che esso immancabilmente veicola. Cionondimeno, un indizio di tale deriva lo si è già visto all’opera in questo Festival, dove i social continuano a farla da padrone.
Oltre all’ira di Blanco, ad abbassare il livello della manifestazione ci ha pensato, di fatto, Chiara Ferragni. La regina delle influencer, scelta da Amadeus per co-presentare la prima e l’ultima serata, non ha mancato di dare spettacolo, fra look eccessivi e messaggi al limite della provocazione.
La trovata, da ultimo, del bacio fra suo marito Fedez e Rosa Chemical ha dato il colpo di grazia a un Sanremo da dimenticare, che ha brillato più per il cattivo gusto che per la credibilità dei testi.
Unica nota di colore, è il caso di dirlo, è stato il monologo dell’attrice Chiara Francini, che ha trattato, con sobrietà e delicatezza, il tema delle donne che non riescono ad avere i figli, emozionando la platea. Apprezzabili, infine, sono state le esibizioni di Giorgia, di Ultimo e dei Modà. Per il resto, nulla di nuovo sotto il Sole. A cominciare dalla scelta del vincitore, avvenuta ancora una volta attraverso il televoto.
La canzone di Marco Mengoni è discreta, ma non così eccezionale da meritare il primo posto. Peraltro, sconta l’essere figlia di un cantante scoperto nei talent show.
Un’altra buona ragione per sperare nella definitiva cancellazione di Sanremo, sempre meno Festival della canzone italiana e sempre più Fiera delle canzonette in cerca d’autore.
Gianmarco Pucci