Ritratto dei dodici inquilini del palazzo più importante d’Italia
Come da rituale, il prossimo 24 gennaio inizieranno ufficialmente le operazioni per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica italiana. Un appuntamento che si rinnova ogni sette anni e che, in ossequio alla migliore tradizione parlamentare, sta ormai da alcune settimane alimentando il dibattito politico in Transatlantico.
Eppure, nonostante gli sforzi dei partiti, non si riesce ancora a trovare la convergenza su un nome in grado di garantire l’unità e la concordia nazionale. Un requisito che, all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione, fu ritenuto obbligatorio per chiunque ambisse a risiedere al Quirinale. Fra questi, Enrico De Nicola, insigne giurista napoletano e primo Presidente della Repubblica, fu senz’altro un degnissimo Capo dello Stato. Talmente degno, che da orgoglioso monarchico rifiutò sempre l’appellativo di Presidente della Repubblica, preferendo, fra le altre cose, risiedere a Palazzo Giustiniani anziché al Quirinale.
Dopo di lui, rimasto in carica per garantire la pacifica transizione dell’Italia dalla Monarchia alla Repubblica, al Quirinale arriverà il liberale Luigi Einaudi. Einaudi, Governatore della Banca d’Italia e ministro del Tesoro del governo De Gasperi, contribuirà in maniera fondamentale a donare alla Presidenza quella fisionomia che ancora oggi possiede. Con esso, infatti, il Capo dello Stato diverrà il vero garante dell’unità nazionale.
Nel 1955, sette anni dopo l’elezione di Einaudi, al Quirinale arriva il primo democristiano. Si tratta di Giovanni Gronchi, Presidente della Camera dei deputati ed esponente della sinistra dossettiana.
Con Gronchi, il Presidente della Repubblica diviene maggiormente protagonista dei mutamenti della società e della politica. Un fatto che, in seguito agli scontri di Genova e alle precipitose dimissioni del governo Tambroni, attireranno al Capo dello Stato non poche critiche. Gronchi sarà, inoltre, il primo Presidente italiano a varcare i confini nazionali, inaugurando i primi viaggi all’estero della Presidenza della Repubblica (In particolare negli Usa e nell’Urss).
Nel 1962, a venire eletto, è nuovamente un democristiano. Il mandato di Antonio Segni, tuttavia, fu destinato a concludersi dopo appena due anni, offuscato dalla malattia e dalle ombre del golpe De Lorenzo (il cosiddetto “Piano Solo”). Chiusa la breve parentesi di Segni, al Quirinale viene eletto il laico Giuseppe Saragat, ex partigiano socialista e presidente del Psdi.
Saragat, come più tardi Giovanni Leone, saranno testimoni del periodo più buio della storia repubblicana, ovvero quello terrorismo e della strategia della tensione. Leone poi, si troverà ad affrontare il momento più critico degli anni di piombo in seguito al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Egli, nonostante l’indiscussa integrità morale dimostrata nei giorni del sequestro, sarà tuttavia costretto a dimettersi anzitempo, a causa del presunto coinvolgimento del Presidente nello scandalo Lockheed (accusa rivelatasi in seguito totalmente infondata).
Con la morte di Moro, candidato in pectore alla guida del Quirinale nel 1978, a venire eletto è il primo socialista, ovvero Sandro Pertini. Il partigiano Pertini cambierà radicalmente il volto della Presidenza, donando alla carica quella umanità che era sempre mancata. Fu così nei giorni della tragedia di Vermicino e fu così nei mondiali di calcio del 1982. Tale spontaneità dimostrata da Pertini gli meriteranno il soprannome di “nonno di tutti gli italiani” e, solo più tardi, di “Presidente più amato della storia della Repubblica”. Dopo Pertini, al Quirinale torna un democristiano.
Francesco Cossiga, sassarese cugino di Segni e Berlinguer, sarà un presidente più che controverso, sopra le righe. Le sue famigerate picconate al sistema, coincise con la fine della Prima Repubblica, permetteranno la rivalutazione critica dell’azione politica di Cossiga, anche da parte di chi in quegli anni lo aveva pesantemente contestato.
Nel 1992, sull’onda emotiva delle stragi di mafia, a venire eletto è l’ex magistrato e parlamentare DC Oscar Luigi Scalfaro. Anche il mandato di Scalfaro, piemontese di origine catanzarese, non sarà esente da polemiche politiche. In particolare, il Presidente non riuscirà mai a farsi perdonare da una parte degli italiani la sua partecipazione attiva alla caduta del primo governo Berlusconi. Gli anni “90” sono anche gli anni della nascita dell’euro e della CEE. Un evento che favorirà l’ascesa al Colle di uno dei fautori dell’ingresso dell’Italia nella moneta unica.
Carlo Azeglio Ciampi, ex Governatore della Banca d’Italia e Presidente del Consiglio, avrà il merito, dopo Sandro Pertini, di riavvicinare gli italiani alla patria e ai suoi simboli. A Ciampi, ad esempio, si deve il ripristino della festività del 2 Giugno, soppressa durante l’austerità degli anni”70”. Tale patriottismo, unitamente al suo specchiato rispetto per le istituzioni della Repubblica, favoriranno in Parlamento la richiesta di un bis al Quirinale. Offerta rifiutata da Ciampi, ma che si paleserà invece nel caso di Giorgio Napolitano, succeduto a Ciampi al Quirinale nel 2006.
Quella di Napolitano, primo ex comunista ad assurgere alla Presidenza, sarà, fino ad adesso, l’unico caso di rielezione del Capo dello Stato. Siffatta evenienza ha attirato a Napolitano molte critiche, culminate nella coniazione del soprannome “Re Giorgio”.
Da Ultimo, frutto di una ritrovata unità fra forze politiche diametralmente opposte, l’elezione nel 2015 di Sergio Mattarella, storico esponente della DC prima e del PPI dopo. Con Mattarella al Quirinale, l’Italia ha potuto fare affidamento su uno scrupoloso interprete della Costituzione, consapevole delle proprie prerogative costituzionali e del ruolo di garanzia che da sempre il Capo dello Stato è chiamato a svolgere. Qualità che Sergio Mattarella ha encomiabilmente testimoniato nell’ultima parte del suo settennato, coinciso con l’epidemia da Covid 19 ancora in corso.
Nel suo ultimo messaggio di fine anno, il Presidente, prossimo a lasciare il Quirinale a un nuovo inquilino, si è detto fiducioso nelle potenzialità dell’Italia di rialzarsi e sulle capacità dei suoi cittadini di ricostruire il paese dopo il disastro della Pandemia. Un invito che Mattarella ha rivolto soprattutto ai giovani, motore del futuro e alfieri di un avvenire carico di incertezze, ma anche denso di speranza.
Gianmarco Pucci