Il rispetto per i disabili passa anche dal sapere fino a che punto la persona può spingersi, senza illusioni o pretese che sfociano nell’impossibile
Chi opera nel mondo dell’informazione è pienamente consapevole di come determinati argomenti possano suscitare malumori in chi li legge o li ascolta. Per quanti sforzi si facciano, riuscire ad essere rispettosi di certi stati d’animo non è mai cosa semplice: esiste una percentuale di “irritazione” scaturita dalle parole usate.
Il tema che nelle prossime righe ci accingiamo a trattare non è una novità, giornalisticamente parlando; abbiamo già letto articoli circa la “Disabilità”. Ciò che proveremo a fare è dare una chiave di lettura differente (e forse anche scomoda) affinché si possa fare un ulteriore passo in avanti verso il rispetto e l’accettazione della medesima.
Rispetto ed accettazione appunto! Due termini che sanno tanto di “civile” ma che forse non siamo ancora capaci di raggiungere. Iniziamo col dire che parlare di “Disabilità”, implica la consapevolezza di diversi stadi che questa comporta: non tutti i disabili sono uguali e non tutti, dunque, possono avere lo stesso approccio con ciò che li circonda.
Esiste un ingrediente che potremmo identificare come il “collante” di molteplici fattori; parlare di strutture per l’accoglienza di persone problematiche, di infrastrutture volte ad agevolare, nei limiti del possibile, chi presenta difficoltà o di personale competente in grado di relazionarsi con professionalità e sensibilità verso questi cittadini risulta tanto giusto quanto semplice.
Lo stesso dicasi in merito all’idea che la Disabilità non è una colpa e che, a parte casi in cui un atteggiamento estremamente superficiale ed incosciente l’ha generata, questa condizione entra a gamba tesa nella nostra vita per cause indipendenti dal nostro agire/volere o nasce assieme a noi per accompagnarci fino alla fine.
Ecco, allora, che entra in gioco l’elemento base da cui partire: l’accettazione. Questo ingrediente che raccoglie ed amalgama quanto poc’anzi riportato, costituisce una vera e propria montagna da scalare; non è facile accettare i limiti che la disabilità impone ad un proprio figlio/a. E questa mancata accettazione fa sì che, in molti più casi di quanto si possa immaginare, il disabile venga erroneamente messo in condizioni di relazionarsi con gli altri come se la sua fosse soltanto una “particolarità”.
Il risultato di tutto questo è uno scontro frontale con la realtà che porta la persona portatrice di handicap ad una esposizione sgradevole verso situazioni che si sarebbero potute evitare se solo ci fosse stata la capacità di “accettare” i limiti imposti dalla condizione fisica o mentale.
Il rispetto per i disabili passa anche da qui: sapere fino a che punto il soggetto può spingersi, senza illusioni o pretese che sfociano nell’impossibile, fa sì che possa esserci una matura consapevolezza del problema. Troppe volte, invece, per assuefazione, paura, dolore si ignorano questi limiti e si pensa che tutto sia superabile, magari lentamente.
Proviamo a partire con l’accettare questi limiti affinché ciascun disabile possa agire secondo le proprie capacità, sentendosi incluso nella società per ciò che è e non per quello che si vorrebbe che fosse.
Stefano Boeris