Fonti vicine a Berlusconi riferiscono di una crescente insofferenza del Cavaliere per l’atteggiamento supponente di Meloni e colleghi
Se qualcuno ha creduto che con la vittoria del centrodestra potesse tornare il Fascismo in Italia, da giovedì scorso può dormire sonni tranquilli. A prescindere da quale governo nascerà, è ormai evidente che nella nuova maggioranza non vi sia un clima idilliaco.
Il gesto, prima ancora delle parole, di Silvio Berlusconi in Senato è stato, a tal proposito, più che indicativo delle tensioni che attraversano la coalizione. Quel “vaffa” rivolto ad Ignazio La Russa, neoeletto Presidente del Senato, seguito alla decisione dei senatori di Forza Italia di astenersi sul nome dell’esponente di FDI rende, infatti, bene l’idea del nervosismo che aleggia nel centrodestra.
Un sentimento che serpeggia già da giorni, a causa della decisione di Giorgia Meloni di non voler accondiscendere a tutte le richieste pervenutegli dagli alleati. In particolare, quelle di Forza Italia, che rischiano seriamente di fermare il governo già ai blocchi di partenza.
Fonti vicine a Berlusconi riferiscono di una crescente insofferenza del Cavaliere per l’atteggiamento supponente di Meloni e colleghi. Arroganza descritta da Berlusconi anche in un appunto, ripreso dalla stampa in Senato durante la votazione di La Russa. Nel suo “pizzino”, Berlusconi definisce Giorgia Meloni inaffidabile, presuntuosa e arrogante. Accuse non da poco se si considera che dovranno convivere insieme per cinque anni e che insieme dovranno governare un Paese scosso da profondi conflitti sociali ed economici. A dare fuoco alle polveri, a quanto pare, è stata la decisione di Meloni di non voler destinare Licia Ronzulli, nuova favorita di Berlusconi, al Ministero della Sanità.
Una scelta che Meloni ha rivendicato, lasciando intendere che lei non si farà ricattare da nessuno per la formazione del governo. Esecutivo che, nei propositi della leader della destra italiana, dovrà essere di alto profilo e costituito da patrioti.
Fin qui niente di nuovo se non fosse che a qualcuno piace fare i conti senza l’oste. L’ebbrezza della vittoria, infatti, sembra talvolta far dimenticare che la democrazia parlamentare impone il rispetto di determinate regole.
Questo non vuol dire cedere ai ricatti, ma garantire la governabilità, tenendo fede agli accordi elettorali.
In tal senso, il metodo seguito da FDI anche nella scelta dei presidenti delle Camere è risultato pernicioso e divisivo. Ci si sarebbe, infatti, aspettati che la scelta per le presidenze ricadesse su candidati maggiormente inclusivi, come ad esempio Giorgetti alla Camera e Pera al Senato o, perché no, della stessa Casellati, in qualità di esponente di FI. Invece, ancora una volta, si assiste a una fuga dalla realtà da parte di chi esce vincitore dalle urne.
È sufficiente, allora, questo per dire che se il buongiorno si vede dal mattino questo non può essere tale. Meloni è partita con il piede sbagliato e fa bene Berlusconi a ricordargli che le maggioranze nascono e muoiono in Parlamento. Se il centrodestra esiste è merito soprattutto suo e da tale favore non si può prescindere. Fu lui, infatti, scendendo in campo nel 1994, a fermare l’avanzata della sinistra, costituendo quel governo delle “eccellenze”, di cui oggi non c’è quasi più traccia nel centrodestra. E sempre lui, c’è da crederci, sarà l‘ago della bilancia di questa legislatura.
Sfoderando una resilienza fuori dal comune, egli è tornato in campo un’altra volta. Probabilmente non per fermare i comunisti, ma certamente per evitare sbandate a destra dei suoi compagni di viaggio.
Un fine, quest’ultimo, che potrebbe rivelarsi già nei prossimi mesi, qualora dovessero continuare a prevalere le distinzioni in seno al nuovo esecutivo.
Gianmarco Pucci