La scelta di indire un Concilio, fece “tremare i polsi” ai vertici del Vaticano, reticenti a scrivere nuovi capitoli della vita ecclesiastica e della civiltà
Sono trascorsi esattamente sessant’anni da quell’11 ottobre 1962, data destinata a rimanere nella Storia della Chiesa e dell’Umanità; sessant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II.
Il Pontefice di allora (oggi Santo), Giovanni XXIII, considerato da molti “di transizione” (per via dell’età non più giovanissima) e quindi “innocuo” davanti alle scelte di amministrazione della Chiesa fatte dai vari porporati, spiazzò tutti quando decise di applicare dei provvedimenti atti a modificare la Curia e renderla più “credibile” per quelli che erano i tempi: l’abolizione del “bacio” del piede, la scelta di nominare Mons. Domenico Tardini cardinale e Segretario di Stato, riportando una tradizione interrotta da anni oltre ad altre nomine che riguardavano nomi stranieri.
Ma ciò che avrebbe fatto “tremare i polsi” a tanti nomi ai vertici del Vaticano fu la scelta di indire un Concilio, volto a scrivere nuovi capitoli nella Storia della Chiesa e della Civiltà. Un Concilio dove potessero emergere le problematiche e le relative soluzioni che i Vescovi di tutto il mondo avrebbero espresso dentro la Basilica di San Pietro.
Ad essere fortemente colpiti da tale annuncio furono, oltre ai cattolici di tutto il mondo, anche i membri delle Chiese separate e gli ambienti conservatori che vedevano in questa, a dir loro “assurda” idea, un cambiamento inutile e pericoloso, destinato ad uno stravolgimento che avrebbe portato l’intera comunità ecclesiale allo sbando.
Eppure, nonostante le tante opposizioni e gli altrettanti inviti a rinunciare a questo proposito, Papa Roncalli non ascoltò che lo Spirito Santo, unica Voce valida ed ispiratore di tanta saggezza.
Come detto nelle precedenti righe, il Concilio aveva come fine quello di traghettare la Chiesa tutta da una concezione ormai superata dai tempi ad un linguaggio universale che prevedesse anche una riorganizzazione della Liturgia, passando dalla lingua latina (ancora oggi considerata la Lingua ufficiale della Chiesa) alla celebrazione nelle varie lingue dei singoli Paesi; dal dare le spalle all’assemblea, ad un Altare che fosse visibile al Popolo di Dio, con il Suo pastore posto dietro e rivolto verso i fedeli.
Ma, certamente, non si trattava solo di questo; parliamo, anche, del tentativo di gettare basi nella convinzione di poter “riunire” le Chiese riformate e quelle orientali-ortodosse.
Sull’esito del Concilio molti hanno posto l’accento su quale potesse essere, all’epoca, il livello di certezza nella mente del Papa e, più in generale, del Vaticano; se ci fosse, anche nel Pontefice, una percentuale di dubbio e a quanto corrispondesse. Vero è che Giovanni XXIII credeva fermamente che fosse giunto il momento di dare un nuovo e forte impulso alla Comunità cattolica mondiale, studiando la contemporaneità e cercando di dare risposte alle domande della mente e del cuore.
Ma Roncalli, che non era uno sprovveduto, sottolineò come i dogmi “non sarebbero stati toccati ma sarebbero rimasti intatti e robusti come le colonne di San Pietro” (Vita e Pontificato di Giovanni XXIII – Ed. TIP. S.T.E.V.).
Nel suo discorso di apertura disse: “Il ventunesimo Concilio Ecumenico vuole trasmettere pura ed integra la dottrina senza attenuazioni i travisamenti che, lungo 20 secoli, è divenuta patrimonio comune degli uomini”.
E così, in quell’ormai lontano 1962, oltre 2.450 padri conciliari giunsero, da tutto il mondo, per prendere posto nella Navata centrale della Basilica di San Pietro. Una cifra enorme se si considera che, nei concilii precedenti, la massima cifra aveva raggiunto appena i 1.000.
La prima sessione si concluse a dicembre dello stesso anno. La “nave” fatta salpare da Roncalli, vide poi al timone, il Pontefice Paolo VI il quale volle lodare il suo predecessore per avere, “raccolto il filo spezzato del Concilio Vaticano I (interrotto a causa della guerra d’Indipendenza nel 1870) e aver chiamato i fratelli, successori degli Apostoli, a studiare i problemi della Chiesa e a sentirsi come il Papa, uniti in un corpo unitario”.
La certezza del passo in avanti e l’unità con i fratelli separati hanno rappresentato (e rappresentano) le colonne portanti di un evento che, ancora oggi, risulta di difficile attuazione su determinati punti.
Ci piace chiudere questa finestra storica con due momenti che mettono in risalto oltre alla figura di Papa anche l’Uomo Angelo Roncalli: la prima riguarda una “confidenza” fatta dal prof. Gasbarrini, medico personale del Papa. “Per non farlo affaticare troppo nel lavoro quotidiano, gli dicevo: “Pensi al Concilio”. Era l’unico modo per farsi obbedire dal Papa”; la seconda è legata alle parole del famoso “Discorso alla Luna”, pronunciato la sera stessa del giorno di apertura del Concilio.
Fu il suo segretario, Mons. Loris Capovilla che, giocando sul fattore “curiosità” di cui Roncalli era ricco, invitò il Pontefice ad affacciarsi alla finestra per ammirare lo spettacolo in Piazza San Pietro.
Fu lì che il Papa, all’inizio reticente all’idea di parlare, anche per una stanchezza fisica, pronunciò, prima della Benedizione, frasi che sono entrate nel cuore del Mondo di cui ricordiamo alcuni frammenti: “Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero: qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera […] a guardare questo spettacolo […] La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, diventato padre per la volontà di nostro Signore […] Tornando a casa, troverete i bambini, date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del papa. Troverete qualche lacrima da asciugare: dite una parola buona. Il papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza.
Stefano Boeris