Gli inglesi non perdonano a Johnson l’eccessiva disinvoltura con cui in questi anni ha rappresentato gli interessi britannici
Quando nel 2019 Boris Johnson si insediò a Downing Street, nessuno avrebbe mai immaginato che colui che era stato il principale fautore della Brexit potesse concludere la propria esperienza alla guida del Regno Unito in modo tanto inatteso quanto repentino. Ancor meno, ci si sarebbe aspettati che a defenestrarlo potesse essere proprio il suo partito.
Quello stesso Partito Conservatore che con Johnson aveva trionfato alle urne, ma che adesso, dopo appena tre anni, si rende indisponibile a tollerare le ulteriori intemperanze del suo leader, favorendone la sostituzione con un profilo più confacente agli standard britannici. Standard verso cui l’istrionismo di BoJo ha sempre faticato ad adattarsi, risuonando il suo comportamento spregiudicato come una nota stonata rispetto ai tradizionali canoni della cultura anglosassone.
Gli inglesi, infatti, non perdonano a Johnson l’eccessiva disinvoltura con cui in questi anni ha rappresentato gli interessi britannici. Sfacciataggine che ha visto coinvolto Johnson in numerosi scandali che ne hanno minato la credibilità, suscitando dubbi sulla sua reale integrità morale. A cominciare dal “Partygate”, vera causa scatenante di questa inedita crisi di governo, la quale ha compromesso irrimediabilmente l’immagine di Jhonson come leader del Regno Unito.
Secondo la stampa inglese, il Premier avrebbe usato la sede del governo per organizzare feste e ricevimenti nel pieno della prima ondata pandemica. Pandemia che proprio da BoJo era stata dapprima negata e poi rivalutata dopo che a farne le spese era stata la sua salute. Tale pessima gestione, invero, aveva già attirato al Primo Ministro critiche feroci dai suoi elettori. Tuttavia, lo strappo vero e proprio è giunto pochi giorni fa, allorché BoJo ha nominato come vicecapogruppo alla Camera dei Comuni Chris Pincher, deputato tory accusato di molestie sessuali.
La scelta è ricaduta, a quanto pare, su Pincher in seguito alle numerose defezioni registratesi fra i conservatori, iniziate con la sconfitta alle scorse elezioni amministrative di maggio e proseguite con le dimissioni in massa di ministri e sottosegretari. Un ammutinamento generale che ha fatto rivivere la fronda interna al partito, già peraltro evidenziatasi ai tempi di Theresa May, e che ha costretto Boris Johnson a prendere atto della situazione, rassegnando le dimissioni da leader dei conservatori. Ma non da Primo Ministro, una carica a cui BoJo, novello Winston Churchill, non vuole rinunciare, derogando altresì a quanto prescritto dalla prassi istituzionale inglese.
Johnson ha, difatti, affermato che lascerà la guida del governo solo dopo che il partito avrà scelto il suo successore a capo dei Tories. Un’opzione inizialmente prevista per ottobre, ma che i conservatori starebbero anticipando a luglio, al fine di evitare un lungo periodo di instabilità politica. A tal proposito, la corsa per la successione è già iniziata.
A contendersi la leadership, dopo la rinuncia del superfavorito Ministro della Difesa, Ben Wallace, ci sono l’ex Cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, di origine indiana, e il Ministro degli Esteri, Liz Truss. Entrambi sono stati fiduciari di Jhonson, hanno sostenuto la Brexit e oggi ne sopportano le promesse tradite. A cominciare da quella che avrebbe dovuto rinverdire i fasti del Grande Impero Britannico ma che, al contrario, oggi sortisce l’effetto opposto, in pieno stile shakespeariano, di inasprire le faide e le lotte per il potere, come non accadeva dai tempi dei Montecchi e dei Capuleti.
Gianmarco Pucci