Queste necessità di aggiornare le procedure edilizie e soprattutto l’importanza della “divulgazione” dell’architettura come processo qualitativo per immaginare e realizzare gli spazi è un impegno costante che l’Ordine degli Architetti di Roma porta avanti a qualsiasi livello
La rigenerazione urbana è una medicina per il degrado urbano e, in quanto tale, va dosata caso per caso e i medici sono gli architetti. Ma qual è il farmaco che può porre rimedio ai mali della capitale? La prima pastiglia medicinale è preventiva, ovverosia far comprendere che la qualità dell’architettura è un bene di tutti ma spesso è reputata dai cittadini superflua e non parte integrante della qualità della nostra vita quotidiana.
È sulla corrispondenza tra città e cittadini e nell’incontro comprensivo di quest’arte che si fonda il suo valore civile. “Fare Architettura” è pratica virtuosa per progettare sia il piccolo giardino abbandonato sia l’immobile che ha perso la sua funzione originale e rigenerali nell’ambito della città dei 15 minuti: tutto questo è “Opera d’Ingegno”. La seconda pastiglia è terapeutica, occorre per la revisione del Codice dei Contratti Pubblici e la riqualificazione della figura dell’Architetto, che ridefinisca la sua prestazione professionale appunto come “Opera di ingegno” e non più come servizio da mettere in gara al ribasso. Scendiamo nel particolare: Roma, città complessa, dove degrado e bellezza convivono, richiede una pastiglia medicinale semplificante a largo spettro.
Le principali città italiane ripensano il modello urbano originalmente programmato perché immobili e aree hanno progressivamente perso la loro funzione. Accelerare dunque il trasferimento delle competenze dalla Regione al Comune, aggiornare NTA, PRG, PTPR, ma ricordandoci che i progetti a grande scala a Roma, burocraticamente lenta come un bradipo e da sempre in cronica astinenza finanziaria, non hanno mai funzionato. Occorre ripensare il concetto di centro storico, quello di Roma è immenso, pieno di vincoli non ultimo quello UNESCO, che a nulla sono serviti (GIL Trastevere, rilascio di condoni su palazzi storici vincolati, e speriamo che non avvenga con il Foro Italico). Tutto è storico, i quartieri limitrofi alla perimetrazione Unesco sono storici e con valenze architettoniche importanti, Corviale è storico, e aggiungo il patrimonio moderno di qualità del dopo guerra.
A piazzale Flaminio si stanno alterando i prospetti del palazzo BNL di Luigi Moretti con motivazioni di adeguamento alle norme energetiche senza che nessuno si opponga. Per un palazzo vincolato del 600’, se oggi usato come ufficio, non valgono certe norme mentre per una importante opera fine anni ’60 è lecito cambiare i prospetti. Dovremmo fare una riflessione sulla necessità di tutelare non la singola opera ma tutte le opere di quei professionisti che hanno contribuito al patrimonio architettonico romano del 900. In questo caso la pastiglia medicinale terapeutica sono i Piani di Conservazione ad hoc inseriti nella Carta della Qualità del PRG quali veri e propri iter metodologici d’intervento né sottoposti e né sovrapposti alle NTA, devono contenere le informazioni sul fabbricato e tutto quello che è realizzabile e le modalità d’intervento. Pubblico e privato, terza pastiglia medicinale. Le semplificazioni sono necessarie e trasformare nell’ambito di una normativa attenta alla realtà del quartiere mi sembra coerente.
La città è fluida per più motivi e i valori immobiliari in questi ultimi anni sono cambiati di conseguenza: Villaggio Olimpico, Pigneto, San Lorenzo. Proprio in questo quartiere, San Lorenzo, il caso della Fonderia Sebastianelli, è la dimostrazione che se fosse esistito un piano di conservazione ad hoc, il complesso si poteva restaurare filologicamente e poi valutare i cambi di destinazione d’uso e le volumetrie aggiuntive. In tal senso sarebbero utili gli utili gli incentivi ai proprietari degli immobili e la collaborazione delle Università per le mappature di questi edifici per la redazione dei Piani di Conservazione. L’imprenditore privato deve avere un guadagno o con nuove destinazioni o con cubature aggiuntive o entrambe ma bisogna farle con occhio attento a quanto già realizzato e al rispetto della qualità architettonica, come per esempio, Villino Alatri a via Paisiello ampliamento del 1952 di Ridolfi, Fiorentino e Frankl. Rigenerare significa dotare di servizi culturali, sociali e sportivi un quartiere o una zona di esso che ne è privo. Queste sono funzioni che hanno bisogno di un contenitore, un edificio che le ospiti e che siano accessibili a tutti.
Allora mi domando perché non utilizzare edifici pubblici? Perché occupare o requisire edifici che nella totalità dei casi sono privati e per i quali i proprietari spesso non possono fare investimenti perché bloccati da normative obsolete con l’evoluzione del quartiere? Forse sarebbe più proficuo investire nelle strutture scolastiche esistenti e renderle fruibili a tempo pieno dalla comunità? Una scuola che sia tale dovrebbe avere una biblioteca, delle sale riunioni, una sala per proiezioni e/o per teatro, una sala musica, una palestra ecc. Con i dovuti accorgimenti di gestione potrebbe essere utilizzata da tutta la comunità locale, insomma un hub polifunzionale, dove vengono investite le idee di tutti. Soldi pubblici su una proprietà pubblica, cioè di tutti e senza necessità di occupazioni o velleitarismi sfruttati dalla politica. Queste necessità di aggiornare le procedure edilizie e soprattutto l’importanza della “divulgazione” dell’architettura come processo qualitativo per immaginare e realizzare gli spazi, aperti o chiusi che siano, nella rigenerazione urbana della nostra città è un impegno costante che l’Ordine degli Architetti di Roma porta avanti a qualsiasi livello.
Ancora una volta cito Gio Ponti e la sua Amate l’architettura e la invio a tutti i cittadini e al Comune di Roma affinché crei le condizioni per farla amare.
Paolo Verdeschi