La crisi ucraina rischia di rivelarsi un pericoloso precedente se si considera che ci sono altre zone di conflitto in Europa che potrebbero improvvisamente destarsi
A più di cento giorni dall’inizio del conflitto, la guerra in Ucraina sembra ormai essere entrata in una fase di stallo. L’esercito russo, infatti, dopo la precipitosa ritirata dal nord del paese dello scorso maggio, sta ora concentrando le proprie forze nel Donbass, in vista di una plausibile capitolazione dell’Ucraina orientale. Capitolazione che pare sempre più probabile, specialmente nella zona di Lugansk, a est del fiume Dnepr. A cominciare da Severodonetsk, dove le truppe di Kiev, con alcuni civili, sono asserragliate da giorni nell’impianto chimico cittadino e stanno resistendo, come già accaduto a Mariupol, all’aggressione dell’esercito nemico.
Uno scenario che si sta ripetendo anche a Lysychansk, Kramatorsk e Zaporizhzhia. Anche qui la resistenza ucraina sta dando grande prova di coraggio e abnegazione, contendendo all’esercito invasore territori già conquistati nel sud del paese come Kherson e Melitopol.
Tuttavia, ha lamentato Zelensky, la lotta è sempre più impari, a causa del minor numero di armi provenienti dall’Occidente. Una questione che si intreccia con quella delle sanzioni, le quali stanno producendo grandi squilibri nell’economia globale. L’aumento dei prezzi del gas e delle materie prime hanno, infatti, costretto Washington a rivedere la propria strategia di contrasto alla Russia. Una scelta dettata anche dalla necessità di scongiurare una carestia mondiale in Africa e Asia, dove la crescente influenza cinese rischia di innescare nuove tensioni in futuro.
Dello stesso avviso l’Europa, che ha rinnovato il proprio appoggio a Kiev, ma che, al contempo, ha deciso di frenare sull’applicazione di nuove sanzioni, in prospettiva di una possibile risoluzione diplomatica della crisi. Una soluzione che, però, non è ancora all’orizzonte. Al contrario, fra i contendenti adesso aleggia la massima confusione sui reali obiettivi da conseguire nel breve periodo. La Russia non sembra intenzionata ad abbandonare il Donbass e rifiuta qualunque accordo che non preveda la cessione di esso a Mosca. Per Vladimir Putin, che ora si paragona direttamente a Pietro il Grande, è ormai un obiettivo irrinunciabile quello di ricostruire il Grande Impero Russo, assoggettando sotto un’unica egida tutte le nazioni di lingua russa. Tale aspirazione, tuttavia, oltre a tradire una certa debolezza della leadership di Putin, rischia di frustrarne i bellicosi propositi. Soprattutto, perché l’isolamento in cui la Russia oggi versa rischia di favorire da un lato l’emergere di nuove potenze globali e dall’altro di destabilizzare il quadro europeo dopo decenni di relativa quiete.
La crisi ucraina, infatti, rischia di rivelarsi un pericoloso precedente se si considera che ci sono altre zone di conflitto in Europa che potrebbero improvvisamente destarsi. Dalla Moldavia alla Polonia, dai Paesi Baltici alla Serbia, sono tante le aree di crisi che attraversano il Vecchio Continente, mettendone a repentaglio la coesione e la libertà. Divisioni di cui altri sarebbero già pronti ad approfittare.
Come la Turchia, che sta svolgendo una perspicace opera di mediazione fra Russia e Ucraina per giungere rapidamente a una tregua. L’obiettivo di Erdogan sarebbe, infatti, quello di farsi promotore di un accordo di pace per risolvere anche la crisi del grano bloccato nel porto di Odessa.
Una questione dirimente per il futuro del conflitto e su cui si stanno moltiplicando gli sforzi della Comunità Internazionale per evitare l’incubo di un mondo alla fame.
Gianmarco Pucci