Il recupero delle sale cinematografiche, negli ultimi sei mesi è già stato affrontato su riviste del settore architettura e dai media

L’ultimo evento che ha riguardato le sale cinematografiche della capitale è stato il convegno “dal dire al fare” dell’11/04/2025, organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma che ha fatto seguito al precedente, sempre sullo stesso argomento, del 16/10/2024. Questo tema, il recupero delle sale cinematografiche, negli ultimi sei mesi è già stato affrontato su riviste del settore architettura e dai media che hanno riportato interviste di produttori, registi attori ecc. Si è anche costituito in modo spontaneo e informale, il “COMITATO SOS SALE CINEMATOGRAFICHE DI ROMA”, con capofila Italia Nostra Roma, al quale hanno aderito Inarch Lazio, DO.Co.MO.Mo., associazioni, esponenti dello spettacolo, giornalisti, professionisti, cittadini. 

Il fine del comitato è la salvaguardia delle sale cinematografiche romane, in particolare le quarantuno chiuse da oltre dieci anni a rischio di demolizione per la Legge Regionale 171, prossima a essere pubblicata. È una salvaguardia ‘allargata’, che partendo dalledificio coinvolge la funzione della sala e in parte il settore cinema.  

Fonte: Italia Nostra Roma

Punto e a capo perché il 5/4/2025 un’articolata e dettagliata relazione firmata dalla Soprintendente Daniela Porro ha smontato le modifiche delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale. Dal convegno OAR, a parte le intenzioni di tavole rotonde o quadrate, in realtà non mi sembra che siano emerse novità legislative che possano incidere in maniera determinante sulle sale cinematografiche. Concordo invece con le intenzioni della Soprintendenza di portare avanti la Direttiva del 2014, emanata dell’allora Ministro Franceschini, che puntava al censimento di tutte le sale cinematografiche.

Questo primo rilevamento, attuato con una scheda semplificata, tipo quella predisposta da DO.CO.MO.MO, che dialogando con la proprietà, consentirebbe un piano puntuale che tracci inizialmente la strategia per il recupero delle circa quaranta sale cinematografiche dismesse rapportate al contesto urbano in cui sono collocate. Una legge che genericamente parli di percentuali o di demolizione non può andare bene in tutti i casi, servono invece proposte per singolo edificio. Bisogna fare una riflessione pragmatica su che cosa era una sala cinematografica: un’attività commerciale d’intrattenimento pubblico, magica come poche, dove edificio e film esistono perché vivono indissolubilmente uno in funzione dell’altro ed entrambi in funzione del pubblico, unico cliente di quest’attività, che pagava il biglietto per emozionarsi, immedesimandosi nelle immagini del grande schermo. Quando uno di questi tre elementi viene a mancare, il pubblico, viene a mancare la sala cinematografica nella sua accezione di luogo nato per la settima arte.

È una realtà che non esiste più e non può nemmeno rinascere, oggi immaginare un ‘sold out’ in un cinema di 800 posti per una settimana è assai raro. Oggi queste sale chiuse sono degli immobili con un proprietario che non è necessariamente un esercente. Oggi la riapertura di una sala cinematografica, mono o plurischermi comporta degli investimenti elevati, anche se si allestiscono attività collaterali a beneficio dell’attività di proiezione e con le quali non è certo che il pubblico, dopo aver mangiato un tramezzino vada a vedere il film. È l’esercente con la gestione della programmazione e la qualità dei film che porta il pubblico in sala. L’esercente “sceglie” i film dal distributore, e li proietta nelle sale che gestisce.

Fonte: Roma Today

Insomma, è un processo economico e culturale strettamente congiunto e complesso che termina nella sala cinematografica.  Se si vuole recuperare le sale cinematografiche come attività economiche culturali e sociali, argomento di cui si è ampiamente discusso anche con demagogia, e compartecipi della rigenerazione urbana, occorre che siano attività commerciali autonomamente sostenibili. Roma è un caso complesso, secondo alcune stime e con il beneficio d’inventario, ci sono settantasette cinema attivi, quarantatré chiusi, sessanta trasformati, otto demoliti.

Dal punto di vista storico e architettonico la sala cinematografica va vista come parte di una serie di altre opere con medesima funzione, eseguite da diversi autori in un comune clima culturale; tutte assieme costituiscono un ben riconoscibile segmento del patrimonio del ‘900 romano. L’intervento di aggiornamento e restauro va inquadrato oltre i limiti materiali della struttura, alla dimensione urbanistica. Si parla di ‘restauro urbano’ prima che architettonico, anzi, quest’ultimo non avrebbe alcun significato se non rapportato alle esigenze economiche, funzionali, sociali e gestionali dell’opera e se quest’ultima non fosse riferita al contesto urbano e alle sue successive trasformazioni.

Con l’avvento delle multisale e poi dei multiplex si perdono le caratteristiche architettoniche della sala cinematografica, il vuoto imponente dei cinema mono sala da 2000 posti, come Giulio Cesare o Maestoso, non sono più sostenibili economicamente. Eppure, giustamente, nel caso del cinema America, 700 posti, tra le motivazioni del vincolo imposto dal Ministero dei Beni Culturali oltre alle decorazioni si cita la “…in particolare con la messa a punto della tipologia architettonica del cinema monosala legato al fenomeno della fruizione cinematografica popolare…”.

Il ‘grande vuoto’ della monosala è una caratteristica, addirittura un elemento architettonico, che gli architetti in fase progettuale devono valutare in termini di memoria, di segni, che non facciano dimenticare l’edificio originale. Non è facile ma la memoria di un luogo, come bene immateriale va conservata. Anche nell’ambito del restauro conservativo e filologico, dove possibile in quelle poche sale rimaste intatte o quasi, sarà complesso coniugare le funzionalità derivanti dalle nuove esigenze del mercato e la storia dell’edificio.  

Paolo Verdeschi

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