Come vivere nel qui e ora, in equilibrio tra razionalità ed espressività
Probabilmente, curiosando tra i libri di yoga o di spiritualità in generale, avremo già sentito parlare della presenza mentale. Questa espressione è molto comune tra le persone che si sono approcciate alla cultura spirituale proveniente dall’oriente. La presenza mentale accomuna correnti diverse ma simili tra loro, come lo yoga, la meditazione zen e il Tai Chi. Ma cosa vuol dire ‘essere’ in presenza mentale?
Queste parole si riferiscono ad uno stato psicofisico di apertura e di massima concentrazione nel qui e ora, in cui mente e corpo sono un’unica entità non separate. Quando non siamo nello stato di presenza mentale, invece, la mente ed il corpo non vivono in relazione tra di loro. Spesso li consideriamo come veri e propri antagonisti che dividono non solo l’essere umano, ma anche la cultura di un popolo. Pensiamo, per esempio all’antica Grecia: i famosi spartani erano noti per le loro doti atletiche, mentre gli atenesi erano più concentrati sulla filosofia. Nel nostro mondo attuale siamo più concentrati sul pensiero logico, abbiamo bisogno di pensare quello che facciamo, prima di compiere qualsiasi azione. Anzi, quante volte da piccoli ci siamo sentiti dire: “pensa prima di parlare!” o “pensaci bene prima di farlo!”.

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Tutto questo si è sviluppato a discapito dell’istinto, il quale è difatti considerato un male. Certo, il metodo è importante e spesso viene affrontato con il ragionamento, ma questo è un altro modo di usare la mente che non si riferisce al pensare. In realtà, il pensiero logico e l’istinto, in una realtà duale, sono le due facce della stessa medaglia. Ovvero, costituiscono una forma mentale che non vive in equilibrio e non è nel momento presente.
C’è un tempo che viene impiegato per pensare rendendo le nostre azioni lente e meccaniche. Normalmente l’essere umano quando non è nello stato di presenza mentale è in uno stato di dualità. Il che significa che è in grado di vedere la realtà solo in modo unilaterale, perciò incompleto, privilegiando il lato razionale o il lato istintivo. Si parla poco però, dell’altra faccia della razionalità, il famoso “dark side of the moon” dei Pink Floyd, il nostro gemello cattivo, il lato irrazionale. Il nostro aspetto irrazionale è molto spesso dimenticato. Il famoso psicologo Carl Gustav Jung studiò il modo in cui questa repressione può causare il distacco dall’ombra, la causa (per lui) dello sviluppo di malattie psicologiche come la depressione e di altre malattie più gravi. Nella meditazione la parte razionale e la parte irrazionale sono in equilibrio e si entra in uno stato di sovracoscienza.
Nell’ambito dello yoga, l’ascolto della nostra parte irrazionale è il trampolino di lancio da cui iniziare il nostro viaggio verso questa coscienza superiore, perché rispetto alla parte razionale è meno allenata. Per sua natura, inoltre, l’istinto rappresenta qualcosa di ignoto che ha delle profonde analogie con l’essenza della meditazione, come spiega il famoso Yogi e Psicoterapeuta Willy Van Lysebeth: “L’ignoto incuriosisce, provoca, stupisce, eccita o spaventa; la paura della pagina bianca è di questo genere: essa condensa ciò che dell’ignoto è più insopportabile: la vertigine del non-definito, della potenzialità senza limite.” Un certo numero di persone pretende di non saper disegnare o scrivere, unicamente per sfuggire alla paura della pagina bianca. L’esperienza della pagina bianca e questi inviti alla creatività sono propri della meditazione. La nostra attitudine mentre facciamo yoga o proviamo a meditare deve iniziare da qui, dalla nostra bravura nel riuscire ad affrontare questa paura senza attaccare né fuggire. Rimanendo in sospensione nel vortice che scuote le nostre fondamenta, nasce la nostra capacità di osservazione e di distacco che è il primo successo nel lungo viaggio della presenza mentale.
Tu sei yoga.
Paolo Stefàno