Immagini e musica si fondono così in uno spettacolo avvincente dove il male e il bene riempiono lo schermo senza concedere un attimo di respiro
Capita di andare al cinema o, meglio, di entrare in un cinema, solo per passare un paio d’ore, non importa ciò che proiettano. La magia di stare rilassati un po’ di tempo, senza essere distratti da telefonini, ambulanze che passano con le sirene accese, fari di auto che si muovono lente nel traffico, semafori rossi, gialli, verdi, e ancora auto che sfrecciano con lo stereo “a palla”come si dice, o moto con marmitte non proprio regolari. Questo può succedere oggi. Che ci sia qualcuno, cioè, che entri in un cinema solo per stare tranquillo. Tuttavia, se andiamo un po’ indietro nel tempo, ciò accadeva anche nei primi anni del secolo scorso, agli esordi del cinema, subito dopo che i fratelli Lumière ci avevano introdotto alla straordinaria lampada magica. A quel tempo le persone andavano al cinema a prescindere dallo spettacolo, l’importante era vedere la magia che veniva proiettata sullo schermo, lo spettacolo era soprattutto quello. Bene, ma torniamo a noi, lo scorso ottobre entro nella sala Sinopoli, all’auditorium Parco della Musica, siamo a metà della Festa del cinema e sono le nove di mattina, è già una settimana che vado tutti i giorni a quell’ora e vedo due, anche tre film di seguito. La passione è quello che è, ma vi assicuro che andare al cinema la mattina, sempre se si ha il tempo di farlo, è una magnifica esperienza.
Fonte: Style Magazine – Corriere della Sera
Entro nella sala come in un rifugio, mi sistemo nel posto assegnato e scorro la sinossi del film che sto per vedere. Emila Perez, si, sapevo qualcosa, il film aveva vinto a Cannes il Premio della giuria e il riconoscimento per la miglior interpretazione femminile a tutto il cast, ma nella mia pigrizia distratta non avevo approfondito. Si spengono le luci e inizia la proiezione. Una donna si muove in una Città del Messico caotica, è giorno, entra in un tribunale, è sicuramente un avvocato, immagino un film che tratti di fatti giudiziari, poi i fotogrammi scorrono e vediamo che la donna viene incappucciata dagli scagnozzi di un boss della droga e condotta dal capo. Anche qui immagino di vedere un cliché piuttosto comune, il bandito, l’avvocato e un problema da risolvere. In effetti la situazione è proprio questa, il problema però è molto diverso da ciò che ci si può aspettare. Il Boss chiede all’avvocatessa di aiutarlo a contattare una clinica che sia in grado di fargli cambiare sesso. E qui inizia tutta un’altra storia.
Ovviamente non sto a spoilerare oltre, anzi vi tranquillizzo, quanto scritto finora riguarda soltanto i primi dieci minuti di un film che supera le due ore di durata. Due ore credetemi assolutamente avvincenti in cui le musiche, già perché ho dimenticato di dire che parte della pellicola viene affrontata attraverso la forma del musical, e le coreografie permettono allo spettatore di accedere a una storia davvero coinvolgente, una storia che, oltre a contenere una forte spinta morale, ci trasporta in un mondo di luci e colori e suoni del tutto inaspettato. Immagini e musica si fondono così in uno spettacolo avvincente dove il male e il bene riempiono lo schermo senza concedere un attimo di respiro. Sono passati quasi tre mesi e sono andato di nuovo a vederlo, nel frattempo il film ha trionfato ai Golden Globe, vincendo ben quattro statuette, lasciando immaginare che farà incetta di candidature anche agli Oscar 2025, e l’impressione che ne ho tratta è che Emilia Perez è davvero una delle pellicole migliori uscite nel 2024.
Ho riletto i testi delle musiche con attenzione, con la stessa attenzione ho goduto delle straordinarie coreografie, dei costumi, della fotografia, del montaggio. Ho pensato a Jacques Audiard, il regista che è riuscito a coordinare tutto questo seguendo i tratti di una storia assolutamente fuori da ogni canone, affrontando il rischio di non essere compreso fino in fondo.
Ho rivisto Karla Sofia Gascòn nei panni di Manitas Del Monte, il boss che vuole diventare donna, e l’avvocatessa Rita Moro Castro interpretata da Zoe Saldana, e mi sono coinvolto con loro in quel mondo opaco fatto di droga e ingiustizia, ma anche di amore, anche di rabbia. E poi il male, quel male che si nutre di sé stesso e che alla fine soccombe.
Questa volta non ero distratto, non ero lì per uscire dal caos quotidiano, non ero assonnato dall’orario mattutino; tuttavia, la sorpresa per quanto stavo vedendo era forse ancora maggiore della prima volta. In ogni caso vi tranquillizzo, non credo mi sia mai capitato di andare al cinema solo per stare tranquillo, guardo e godo della proiezione, a volte di più, a volte di meno.
Lello Mingione