Sarebbe riduttivo definire Velasco un allenatore bensì un “Maestro di vita”

Nelle scorse Olimpiadi disputate a Parigi, una delle pagine più belle è stata scritta dalle nostre fantastiche atlete del volley uscite trionfatrici dalla competizione con la conquista della desiderata medaglia d’oro. Una vittoria netta, schiacciante, con una squadra consapevole della propria forza sia mentale che tecnica. Indubbiamente gran parte del merito va attribuito alle nostre ragazze che però senza la guida di Julio Velasco molto probabilmente non avrebbero conseguito un risultato così prestigioso.

L’allenatore argentino, nell’assumere l’incarico nel gennaio scorso, in pochi mesi è stato capace di trasformare uno spogliatoio dilaniato da rapporti tesi e guerre intestine in un ambiente compatto e coeso, creando un gruppo di atlete tutte concentrate e grintose, pronte a sacrificarsi una per l’altra ed a tralasciare ogni lamentela e accenno di polemica.

Fonte: La Ragione

Dal citare il suo successo più recente parte il racconto di Velasco nato a La Plata il 9 febbraio 1952 da madre argentina di origine inglese e da padre peruviano di cui rimase orfano a sei anni. In un clima angusto e oppressivo generato dalla dittatura di Videla da lui avversata in quanto fervente sostenitore dei diritti umani, il giovane Julio intraprese all’Università Nazionale di La Plata gli studi in filosofia, abbandonandoli a sei esami dalla laurea. Quando vide arrestare i suoi amici, poi assassinati, e scomparire per mesi un suo fratello vittima di feroci torture decise di trasferirsi a Buenos Aires perché a suo dire “era più facile passare inosservati”

Rinato l’amore per la pallavolo che aveva praticato ai tempi del liceo, Velasco come viceallenatore della nazionale argentina di volley vinse la medaglia di bronzo ai mondiali del 1982. Nell’anno successivo lo scopritore di talenti Giuseppe Cormio lo portò a guidare il Volley Club di Jesi neopromosso in serie A2 dove il tecnico sudamericano mostrò il suo valore portando la squadra a sfiorare clamorosamente la promozione in A1. Le sue brillanti stagioni in terra marchigiana indussero la Panini Modena ad ingaggiarlo. Con la formazione emiliana Julio vinse quattro scudetti consecutivi e raggiunse per tre volte di seguito la finale di Coppa dei Campioni.

Nel 1989 divenne allenatore della nazionale italiana che portò in vetta al mondo dove mai prima era arrivata. Nacque così la generazione dei fenomeni che conquistò due titoli mondiali, tre europei e cinque world league. Julio trasmise ai suoi ragazzi tutto il suo ampio bagaglio di saperi e di esperienze facendoli crescere sotto l’aspetto mentale e inducendoli ad assumere in ogni partita gli “occhi della tigre”. Atleti che anche grazie agli insegnamenti della loro guida sono diventati campioni, come Zorzi, Lucchetta, Bernardi,Tofoli, Giani per citarne alcuni. E quello fu per Velasco il tassello principale per una carriera densa di successi proseguita sulla panchina della Nazionale azzurra femminile, di quella ceca, spagnola, iraniana e argentina. Proprio per questa capacità di trionfare in ogni dove, il tecnico sudamericano viene ancora oggi considerato il “Re Mida dello sport”. Julio visse anche un’esperienza nel calcio chiamato alla Lazio da Sergio Cragnotti dove in qualità di direttore generale avrebbe dovuto decidere su ogni questione.

Ma quei poteri a lui conferiti erano in realtà effimeri in quanto Cragnotti, nelle questioni importanti, agiva in autonomia senza nemmeno interpellarlo come avvenne nell’acquisto di Bobo Vieri di cui Velasco apprese la notizia solo dai giornali. Presto venne consumato il divorzio come successe con le stesse dinamiche due anni dopo all’Inter di Massimo Moratti.

Parallelamente allo sport, Julio è diventato un punto di riferimento di manager e imprenditori per le sue dissertazioni riguardanti l’accrescimento della mentalità vincente e il ruolo del leader. Pillole di saggezza impartite da Velasco durante corsi e convegni molto frequentati dal pubblico.

Tra le sue massime principali diventate regole si possono citare il dover rifiutare la cultura degli alibi attribuendo ad altri la responsabilità dei nostri fallimenti; l’importanza che l’errore assume nei processi di crescita mentale in quanto facendo parte dell’apprendimento bisogna trovarne il motivo e non il colpevole; l’allenatore non fa ma convince a fare.

Fonte: Olympics

La sua frase più famosa resta “chi vince festeggia, chi perde spiega”. Per tutto quello che è stato raccontato, sarebbe riduttivo definire Velasco un allenatore. Piuttosto sarebbe più giusto considerarlo “Maestro di vita”. Di sicuro ne sentiremo ancora parlare, Julio non finisce mai di sorprenderci.

Gian Luca Cocola

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