Breve analisi della traiettoria politica e familiare dell’attuale leader del governo israeliano
Chiunque voglia avvicinarsi alla comprensione dei fenomeni politici che hanno riguardato il Medio Oriente negli ultimi mesi non può eludere lo studio della figura del premier Benjamin Netanyahu. L’attuale primo ministro israeliano è figlio di un illustre storico, al secolo Benzion Mileikoswky, nato a Varsavia nel 1910, specialista della comunità ebraica sefardita in Spagna e quindi del Marranismo e dell’Inquisizione Spagnola, la cui famiglia cambia poi cognome dopo l’arrivo in Palestina nel 1920. Benzion era a sua volta figlio di Nathan Mileikowsky, un rabbino di profonda fede sionista, originario di Kreva nell’odierna Bielorussia, all’epoca sotto l’impero zarista. Tornando all’attuale premier israeliano, egli trascorse i primi anni della sua vita fra Israele e gli Stati Uniti, dove la famiglia si era trasferita a più riprese a causa degli impegni accademici del padre. Ritornò in Israele nel 1967, a seguito del diploma, poco dopo la Guerra dei sei giorni, per servire nell’esercito, cosa che fece fino al termine del 1972, quando si trasferì nuovamente in America.
Fonte: Wikipedia
Lì ebbe moltissimi incarichi, sia nel mondo economico-finanziario che in quello diplomatico-istituzionale, fino a ricoprire dal 1984 al 1988 la carica di ambasciatore israeliano negli States.
Successivamente fece nuovamente ritorno nella sua patria d’origine dove si iscrisse al partito Likud, poco prima delle elezioni dell’88, e dove nel 1996, dopo essere uscito vittorioso dalle elezioni in occasione delle quali rivestiva il ruolo di candidato presidente del suo partito, assunse per la prima volta la carica di primo ministro dello Stato Ebraico.
Un episodio cruciale per comprendere la visione che Netanyahu ha sempre avuto della questione palestinese si svolse nel 1978, in una Tv locale di Boston, quando, sotto lo pseudonimo con cui aveva preso a farsi chiamare in America, Ben Nitay, su precisa domanda se uno stato palestinese avesse o meno diritto ad esistere, egli affermò che non ve ne fosse assolutamente, in quanto sostenne che esistevano già 21 stati arabi e uno stato palestinese, ovvero la Giordania, e che perciò non vi era alcuna ragione per avere il ventiduesimo stato arabo e il secondo stato palestinese.
Fonte: BuzzFeed News
Questa dichiarazione ci offre una pista per comprendere quale sia stato, con ogni probabilità, l’atteggiamento che ha contraddistinto lo stesso Netanyahu quando prese le redini del paese all’indomani dell’assassinio di Rabin e del breve esecutivo guidato da Shimon Peres.
In quella fase egli ebbe infatti il compito di applicare e ampliare gli accordi di pace che avevano chiuso la Prima Intifada, ottenuti dallo stesso Rabin fra il 1993 e il 1995 e passati alla storia come Oslo I e Oslo II, in cui lo Stato israeliano e la neonata Autorità Palestinese si riconoscevano a vicenda e cercavano di preparare l’intesa per una convivenza pacifica.
I due Agreements che seguirono nel tentativo di implementare gli Accordi di Oslo, ovvero gli Accordi di Hebron del 1997 e gli Accordi di Wye River del 1998, ebbero appunto come referente da parte israeliana lo stesso Netanyahu che venti anni prima aveva asserito sull’esistenza di uno stato palestinese quanto ricordato in precedenza. Non dovrebbe perciò stupire eccessivamente se da quel momento in poi, nonostante lo spiraglio riapertosi con il governo laburista guidato da Barak subito prima della Seconda Intifada e con i governi guidati da Sharon e da Olmert, capi del partito Kadima, dal 2002 al 2009, la possibilità di un accordo serio e risolutivo sia progressivamente tramontata, in modo particolare dopo la caduta di Olmert nel 2009 e il conseguente ritorno al potere di Netanyahu.
Alberto Fioretti