Caro Sorrentino, a parte la bellissima fotografia e i luoghi magici che ci hai mostrato, a parte la camorra, a parte la bellezza, a parte le ossessioni tribali e religiose, che cosa volevi raccontarci?

So che mi sto avventurando in un terreno a dir poco minato, ma alla fine ho pensato che ciò che pensavo, (scusate la ripetizione), non fosse il caso di tenermelo dentro. Un pomeriggio di una domenica di ottobre, il 24 per essere precisi, data che non posso dimenticare, non tanto per il film che stavo andando a vedere, quanto per il fatto che il 24 ottobre è il giorno del mio genetliaco, insomma sono andato a vedere Partenope.  Entro nel cinema fiducioso, ma con qualche timore, (con Sorrentino non si sa mai), ed ecco che mi trovo davanti a uno scorrere di immagini che tendono a catturarmi e, a dire il vero, ci riescono.

Un appartamento stupendo sul mare, una ragazza bellissima che poi ci viene mostrato essere stata partorita in acqua in una baia magica della città dove è nata, Napoli. Poi appare uno strano baldacchino, in realtà un carro funebre inserito all’interno della bellissima casa, dove si può dormire o solo riposare e riflettere. Sullo sfondo sempre il mare, e squarci di una città che, sempre più, appare come una cartolina antica, a parte il colore che nelle immagini dell’epoca era poco presente se non nei bellissimi quadri della tradizione partenopea. Napoli com’era, certo parliamo degli anni Settanta del Novecento e non del secolo precedente, tuttavia, ogni fotogramma, anche il traffico delle auto sul lungomare, fatto aimè ancora attualissimo, ci porta indietro nel tempo, all’epoca in cui il regista viveva a Napoli e che insistentemente ci ripropone come un mantra, come un qualcosa che nel film più che ricordare voglia esorcizzare. Alla ragazza nata nel mare verrà dato il nome di Partenope.

Fonte: Corriere Fiorentino

Il nome lo sceglie il datore di lavoro del padre della neonata, un personaggio divertente e si potrebbe dire positivo, che non tardiamo a identificare con lo storico armatore Achille Lauro. Da qui un susseguirsi di immagini, quasi sempre con lo sfondo del mare, in cui Partenope e il fratello, Raimondo, e Sandrino, figlio della governante della lussuosa dimora di famiglia, trascorrono una gioventù dorata. Una gioventù in costume da bagno e pantaloni bianchi da tirare fuori che è già estate come cantava Baglioni, di fiori colorati e sigarette appena accese e fumate con un ritmo quasi ossessivo, come forse Sorrentino vuole ricordarci, oggi che il fumo è bandito da ogni luogo, addirittura all’aperto. Poi ecco che si arriva a Capri. Dio! Che cosa c’è di più bello. Le notti si susseguono tra una festa e l’altra tra uno scrittore americano e panorami mozzafiato, (che brutto termine, abusato oltretutto), e i tre ragazzi che si muovono sul palcoscenico che poi da notte diventa alba e Partenope che si divide tra la seduzione verso un uomo ricchissimo che la corteggia con il suo denaro e la stessa seduzione esercitata verso Sandrino e anche il fratello.

Fonte: Wikipedia

Rapporti leggeri forse, ma anche dolorosi e incestuosi. Tutto scorre e anche la vacanza caprese volge al termine. Si torna a Napoli e ogni cosa ora diventa più scura, triste. Complice certo una tragedia che si è consumata proprio a Capri. Da qui un’altra strada, un’altra Napoli, Camorra e usanze tribali, ma anche università e modernità e studi e professionalità di Partenope, sempre al centro delle immagini e certo ossessivamente del regista. Sesso volgare e allegorico con un alto prelato e sangue di San Gennaro che improvvisamente si scioglie proprio durante il rapporto animale della bella Partenope con il disgustoso personaggio. E ancora immaginazioni, con una donna, certamente famosa attrice, che durante uno spettacolo inveisce con forza e volgarità contro Napoli.

E poi la fine, finalmente diremmo noi, con Partenope ormai anziana alle soglie della pensione che dopo essersi trasferita lontano torna nella sua Napoli e la guarda con l’occhio indulgente di chi rivede la propria gioventù. Un mondo diverso? Forse, ma forse anche no. Gli ultimi fotogrammi sono per il Napoli che ha vinto lo scudetto e i tifosi in festa, una bella ossessione anche questa, ma si vede che Sorrentino non può farne a meno, ripassando le immagini della pellicola precedente di È stata la mano di Dio.

Uscendo ci poniamo qualche domanda, così, solo per semplice curiosità e affetto verso un regista che ci aveva emozionato con L’uomo in più, Le conseguenze dell’amore e naturalmente La grande bellezza. Ma caro Sorrentino, a parte la bellissima fotografia e i luoghi magici che ci hai mostrato, a parte la camorra, a parte la bellezza, a parte le ossessioni tribali e religiose, che cosa volevi raccontarci? Volevi stupirci con effetti speciali, come si usa dire? Ma l’originalità di un napoletano si esaurisce tutta qui? in un’accozzaglia di luoghi comuni in cui traspare ad ogni ombra lo sguardo di Fellini?

A volte sembra che l’omaggio al maestro superi i limiti della decenza e diventi qualcosa di diverso. Purtroppo, però, sempre all’uscita dal cinema, ciò che resta veramente è un senso di noia. e per fortuna che era il mio compleanno. L’avevo detto che si trattava di un campo minato, quindi non vogliatemene per la sincerità.         

Lello Mingione

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