Il patto di stabilità tra finzione e realtà

Per gli Stati che fanno parte dell’area dell’euro, l’equilibrio dei conti pubblici costituisce un preciso impegno assunto con il “Patto di Stabilità e Crescita” sottoscritto ad Amsterdam nel 1997. Con tale Patto gli Stati si sono impegnati all’osservanza di limiti ben definiti nella creazione di disavanzi economici ossia nei cosiddetti vincoli di bilancio: un tetto di deficit/Pil pari al 3% e un rapporto di debito/Pil entro il 60%. Nel 2011, a causa della crisi finanziaria e delle ripercussioni sulle economie europee, sono state definite alcune nuove regole, confluite nel trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria del 2013, il cosiddetto “Fiscal Compact”.

Fonte: Caseper

L’obiettivo di questo nuovo trattato era quello di rinforzare la politica di bilancio e controllare l’andamento dei conti pubblici, contenendo l’indebitamento di alcuni Stati. Gli Stati europei si sono così impegnati a inserire nelle proprie costituzioni l’obbligo dell’equilibrio di bilancio, al fine di evitare situazioni di disavanzo che si realizzano quando vi è un rapporto tra deficit e Pil non superiore al 3% o con un debito superiore al 60%. L’Italia ha ratificato tale noma con la Legge Costituzionale 1 del 2012 che ha modificato ben 6 articoli della Costituzione. La L. 1/2012 è nota soprattutto per aver introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio che ora è inserito nell’art. 81 della Costituzione.
Ovviamente nel periodo del Covid si è lasciata la possibilità di derogare ampiamente a questo e ad altri principi che dovrebbero essere vigenti all’interno dei paesi dell’Unione. Anche precedentemente paesi come il nostro non riuscivano assolutamente a rispettare gli impegni previsti da questo e da altri trattati, specialmente in relazione al debito sul Pil che continua invece a rimanere esorbitante e gargantuesco.

La domanda è: ha senso prevedere dei paletti che vengano poi sistematicamente violati o aggirati?

Alberto Fioretti

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