Come si è sviluppato questo processo di degenerazione delle nostre imprese durante la pandemia?
Facciamo un passo indietro e torniamo al periodo pandemico. Per arginare l’impatto economico della pandemia, governi e banche centrali di tutto il mondo hanno adottato misure senza precedenti. Si potrebbe addirittura dire che la risposta economica si è rivelata ambiziosa e tempestiva tanto quanto quella sanitaria problematica.
Persino l’Unione Europea, da anni in uno stato di profondo torpore, è riuscita ad approvare il Recovery Fund. Ma tali misure, straordinarie per definizione, sono poco adatte a una situazione in cui la pandemia si è fatta normalità̀. Tralasciando l’impennata del debito pubblico, sussidi e tassi d’interesse negativi stanno tenendo in piedi imprese che in situazioni normali sarebbero già̀ state spazzate via. Certo, le “zombie firms”, come sono state spesso disegnate, non sono certo una novità̀ in Italia. Dopotutto, il bel paese ha un debole per tenere in vita imprese decotte (vedi Alitalia).
Il dato interessante, tuttavia, è che lo stesso fenomeno si sta replicando ovunque in Europa. Persino nella virtuosa Germania i numeri delle società̀ in bancarotta è stato ai minimi storici. Che fare, ci si è chiesti in quel frangente, dunque? Dare libero sfogo alle crudeli leggi del libero mercato non è un’opzione, ovviamente, dati gli enormi costi umani che ciò̀ avrebbe implicato.
Fonte: La Fionda
Ma le misure economiche impiegate hanno azzerato il fenomeno che gli economisti chiamano (con una certa spocchia) “distruzione creativa”, ovvero il processo naturale di rinnovo dell’economia. Senza di esso, non c’è innovazione né crescita, ma solo stagnazione e alla fine, il tracollo.
Sarebbe stato utile dunque trovare una nuova formula per sostenere l’economia che fosse anche capace di evitare distorsioni strutturali. Altrimenti, le zombie firms stanno collassando portandosi dietro importanti componenti di comparti strategici.
Alberto Fioretti