Lasciamo il passato alle spalle, dove deve stare. Non evochiamo i fantasmi della Storia tentando di spiegare i fenomeni di oggi
L’annuncio dello scioglimento dell’assemblea nazionale francese. Un Emmanuel Macron sconfitto. Inizia così la lunga notte elettorale di domenica 9 giugno. Quella che avrebbe designato i vincitori di queste elezioni europee, senza troppi colpi di scena. In fin dei conti, un risultato atteso, la “grande ascesa delle destre”. L’incubo di molti che si fa realtà. L’avanzata nera che macchia il continente. È andata come doveva andare, tutto come previsto.
Ma veramente dobbiamo parlare (ancora) di avanzata nera? Evidentemente, ad avere nostalgia del passato è qualcun altro. Una retorica che ricorda (volutamente, come a incutere chissà quale paura) l’inevitabile avanzata fascista – e poi nazista (ad alcuni piace confondere) – del primo dopoguerra. Torniamo, invece, con i piedi per terra, al nostro tempo, ai nostri problemi, di cui la politica deve farsi carico – politica qui intesa nella sua dimensione europea.
Fonte: Focus.it
Da due anni ormai noi, cittadini europei, siamo costretti tra la tradizionale alleanza atlantica e le potenze dell’est del mondo, dalla Russia alla Cina facendo tappa per il Golfo. Uno scenario internazionale altamente preoccupante, angosciante. In cui le grandi potenze – tanto quelle democratiche quanto quelle autoritarie – concorrono in una gara al riarmo. Uno scenario che inevitabilmente tocca l’emotività delle persone, dei cittadini, degli elettori. Uno scenario che mette in luce l’ineffabilità (o l’impotenza?) dell’Europa di fronte al grande tema – forse il più antico che muove il mondo – della guerra, della spietatezza dei popoli. Di quella che persiste, quasi immutata, nella storia dell’umanità.
Un’Europa alla prova della propria sopravvivenza? Forse anche la grande incertezza che ci travolge è stato il leitmotiv di questa campagna elettorale. Incertezza come fattore polarizzante, tra una destra rassicurante e una sinistra percepita come inadatta a rispondere alle grandi sfide internazionali. Una destra che si è presentata unita a livello continentale, che promette confini sicuri, protezione, autorevolezza nello scacchiere internazionale, una sinistra troppo impegnata in battaglie sociali di una stagione ormai alle spalle.
Fonte: Comune di San Martino in Rio
Che lo vogliamo o meno, assistiamo a un ritorno a un’economia di guerra – all’arte della guerra (se vogliamo abbellirne i tratti) – in cui la diplomazia è bene prezioso. Per cui l’Europa, come ci ricorda il patto di Westfalia, è campione. Una tradizione secolare che ci ha permesso di essere il centro del mondo fino al secolo scorso. Poi le cose cambiano – gli equilibri, l’economia, la finanza. Un ridimensionamento obbligato, dovuto anche alla poca coesione che abbiamo fatto vedere al mondo. Troppo impegnati nel trovare la formula giusta, ci siamo sfaldati.
Perché non esiste un’unione economica, tecnocratica, senza coesione politica. Forse solo ora abbiamo acquisito la consapevolezza di averne bisogno. Un’unione dei popoli – che frase blasonata, vero? Eppure, vera, necessaria, che racchiude il nostro bisogno di evolvere verso una vera unione politica – un’unica grande città con tante piccole differenze, facendone sintesi, come ci insegna l’esercizio democratico. Una politica in grado di governare le grand challenges che affrontiamo oggi. Senza guardare a quelle di ieri.
Lasciamo il passato alle spalle, dove deve stare. Non evochiamo i fantasmi della Storia tentando di spiegare i fenomeni di oggi. I risultati elettorali parlano chiaro: non un ritorno al passato “nero” ma una richiesta da parte degli elettori di contare come Europa, oltre il Mediterraneo, l’Atlantico, i Balcani. In uno scenario incerto, soprattutto per il colosso democratico per antonomasia (gli Usa), possiamo, dobbiamo farci strada, da soli, camminare sulle nostre gambe, tornare a essere il baricentro del mondo occidentale. Un faro al centro del mondo, come piace disegnarci sulle cartine geografiche.
Fonte: Fondazione Luigi Einaudi
E forse un primo passo lo abbiamo fatto con queste elezioni. Perché tutti noi, in fondo, le abbiamo sentite un po’ più nostre. Non è forse questa politica?
Susanna Fiorletta