Alla luce delle ultime decisioni del tribunale quale prospettiva per l’Ilva di Taranto
Il 17 maggio il tribunale d’appello ha ordinato la sospensione della esecutività del pagamento delle provvisionali concesse alle parti civili in primo grado per le 1500 parti civili nel processo che riguarda l’Ilva di Taranto. Il 31 maggio 2021 la magistratura aveva impresso una svolta cruciale per quanto riguarda la vicenda dell’ex Ilva, lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa. Difatti, nel corso del processo “Ambiente Svenduto”, erano stati condannati i gestori storici dell’impianto, Fabio e Nicola Riva, così come l’ex Presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola.
Le accuse si riferivano al periodo che va dal 1995 al 2013 ed erano gravissime: concorso in associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Un’altra sentenza aveva inoltre disposto la confisca del nucleo principale della struttura, la famosa “area a caldo”, per molti la principale responsabile dell’emissione incontrollata nell’aria di numerosissime sostanze nocive.
Fonte: Radio Popolare
Ora, sembrerebbe l’epilogo perfetto di una storia contorta, se non fosse che di mezzo ci si trova niente di meno che lo Stato. Da aprile 2021, infatti, un ramo dell’ex Ilva è stato acquisito da Invitalia (società controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze), con una quota di partecipazione al capitale sociale del 38% (che punta a salire al 60% entro il 2022, frutto di un progetto d’investimento di centinaia di milioni di euro).
In poche paradossali parole, lo Stato si era “auto-sequestrato”, in attesa di una successiva sentenza del Consiglio di Stato che ha poi sospeso a dicembre 2024 sospeso l’ordinanza del Tar che bloccava la fornitura di gas. Un intero progetto di risanamento pubblico potrebbe, quindi, miseramente fallire. Alla fine, però, dopo la condanna in primo grado, veniva da chiedersi: cosa hanno fatto, in tutti questi anni, i vari governi? Sembra evidente che questi si siano eccessivamente affidati alla decretazione d’urgenza, non riuscendo mai ad operare un concreto e risolutivo bilanciamento tra diritto al lavoro e alla salute e, spesso, sottovalutando gli assai preoccupanti risvolti ambientali dello stabilimento (fatto che, peraltro, nel 2019, ci è costato una sentenza di condanna della CEDU per violazione dei diritti umani).
A tre anni di distanza e due governi dopo le soluzioni sembrano ancora latitare. Il tempo ci darà le sue risposte, ma un’intera città continua a subire le devastanti conseguenze dell’ennesima mala gestione all’italiana.
Alberto Fioretti