Il dato più triste riguarderebbe i minorenni in povertà assoluta: 1,3 milioni (14%), ossia un bambino su 7
Lo scorso anno quasi un italiano su dieci ha sperimentato una condizione di grave povertà, non potendo sostenere le spese per l’acquisto di beni e servizi necessari a condurre una vita accettabile (lontana dal parametro “dignitosa”). È quanto emerge dall’aggiornamento Istat sulla povertà assoluta 2023, che riporta dati preliminari preoccupanti: un’incidenza del 8,5% tra le famiglie (8,3% nel 2022) e del 9,8% tra i singoli (quasi stabile rispetto al 9,7% del 2022). Parliamo di oltre 2 milioni 234mila famiglie e 5 milioni 752mila individui, un record storico per il nostro Paese.
Stando ai dati per ripartizione geografica, l’incremento dei nuclei familiari in povertà rispetto al 2022 interesserebbe il Nord (dal 7,5% al 8%) e il Centro (dal 6,4% al 6,8%), mentre al Sud sarebbero meno le famiglie coinvolte (dal 10,7% al 10,3%). Anche l’incidenza individuale vede un peggioramento al Nord (dall’8,5% al 9%) e al Centro (dal 7,5% al 8%). Sono risultati in controtendenza se si pensa che dieci anni fa le famiglie in povertà in tali regioni erano la metà e che l’economia è stata ed è tutt’ora una delle più fiorenti del Paese.
Rispetto al 2022, la condizione di povertà assoluta colpisce oltre 1 milione 100mila famiglie con persona di riferimento occupata (dal 7,7% all’8,2%) e, in particolare, quei nuclei in cui a sostenere le spese è il lavoratore dipendente (dal 8,3% al 9,1%). Sembrerebbe invece scendere tra le famiglie con persona di riferimento non occupata (dal 9% al 8,8%). Come può un lavoratore essere in condizioni peggiori rispetto ad una persona inoccupata? È difficile da credere che i percettori di indennità possano vivere meglio di chi ha la fortuna di lavorare, eppure i salari bassi inciderebbero non poco.
Fonte: Fanpage
Ma il dato più triste riguarderebbe i minorenni in povertà assoluta, che in Italia sarebbero 1,3 milioni (14%), ossia un bambino su 7, un valore che non veniva riscontrato da dieci anni. Save The Children ha rivolto un appello alle istituzioni a rispondere a tale emergenza con provvedimenti mirati a garantire a tutti i bambini pari opportunità di crescita. Tale risultato andrebbe letto alla luce del trend negativo sulla denatalità, determinato dalla scarsa propensione dei giovani italiani ad avere figli e, per i giovani intenzionati ad averne, dalla remota possibilità di realizzazione.
Chi sceglie di mettere al mondo un figlio avrebbe più possibilità di trovarsi in condizioni di indigenza. D’altronde nel 2023 la povertà avrebbe colpito soprattutto le famiglie in cui l’adulto di riferimento è compreso nella fascia d’età 18-34 anni (11,8%), seguite dai nuclei in cui il membro della famiglia con reddito più alto ha tra i 35 e i 44 anni (11,7%). Gli over 65, invece, restano la fascia meno soggetta a tale condizione (6,2%).
L’unico valore apparentemente in positivo è la spesa media mensile delle famiglie italiane, corrispondente a 2.728 € mensili in valori correnti (3,9%), ma che risente dell’effetto inflazione, infatti, in termini reali esisterebbe una riduzione dell’1,8%. L’aumento più significativo si ha in ambito ristorativo e di alloggio (+15,7%), seguito dalle spese per la cura della persona, i servizi di protezione sociale e altri beni e servizi (+13,9%) e dai servizi assicurativi e finanziari (+13,5%).
Chiaramente tale fotografia non comprende ancora gli effetti dell’abolizione del reddito di cittadinanza, che è stato sostituito nel 2024 dall’assegno di inclusione, una misura che esclude dal requisito reddituale numerosi nuclei, in quanto il moltiplicatore favorirebbe i componenti della famiglia con incarichi di cura (adulti con figli fino a 3 anni d’età, con 3 o più figli minorenni, con componenti disabili o non autosufficienti). Inoltre, le famiglie beneficiarie percepirebbero comunque un sussidio meno cospicuo rispetto a prima perché legato a numerose variabili (soglia minima di 480 € annui fino ad un massimo di6.000 €, ovvero 7.560 € per componenti anziani o disabili a cui può essere aggiunto un contributo per l’affitto).
Nel bilancio finale occorre anche considerare le conseguenze future della riforma fiscale 2024, che porta sicuramente vantaggi per gli autonomi, tra cui la conferma della flat tax e le riduzioni di tassazione sui redditi finanziari, ma risulta meno vantaggiosa per i lavoratori dipendenti, dato l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef in un’unica aliquota al 23%. Il rischio è favorire chi percepisce uno stipendio medio, non considerando chi è sottopagato e creando addirittura un paradosso sui compensi più alti.
In conclusione, se i dati definitivi confermeranno che gli italiani occupati vivono sotto la soglia di povertà occorrerà interrogarsi sulla qualità dei contratti che regolano i rapporti di lavoro e sul relativo trattamento economico. Anche se è ancora presto per definire le conseguenze socio-economiche derivanti dall’adozione dei nuovi strumenti di sostegno nel 2024, alcuni istituti di ricerca hanno mostrato uno scarto non indifferente tra le domande presentate dai cittadini e quelle effettivamente accolte. La speranza è che la sostituzione dei sussidi non sia direttamente correlata all’aumento delle persone in difficoltà e che tale dato possa essere presto smentito da buone notizie.
Marzia Furlan