In quali condizioni versano le nostre carceri, e perché?
“Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, perché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione” scriveva Voltaire. Ebbene, nonostante i dati sull’apparato detentivo siano difficili da reperire, proviamo a dare uno sguardo a ciò che avviene in Italia all’interno di quelle strutture di cui, molto spesso, si sa poco o niente.
L’Europarlamento ha spesso ammonito l’Italia a causa del sovraffollamento penitenziario poiché in netta discordanza con i valori di tutela dei diritti umani. Infatti, stando ai dati degli anni passati, fra il 2018 e il 2019, si confermano le preoccupazioni: per ogni 100 posti disponibili vi sono 130 detenuti, facendo “guadagnare” all’Italia il secondo posto nella classifica delle carceri più affollate di Europa. Il problema non è una novità, già nel 2006 era stato varato un provvedimento di indulto poiché i numeri dei detenuti erano arrivati quasi a 60mila su 50mila posti disponibili.
Fonte: Il Riformista
Nonostante lo svuotamento carcerario però i numeri hanno ripreso rapidamente a salire. È interessante notare che l’Italia non possiede un elevato numero di detenuti, comparata ai paesi Europei, e che quindi il problema del sovraffollamento carcerario ha origine nella capienza degli istituti. Il 2024 si è aperto trascinandosi dietro non solo la medesima problematica ma anche un nuovo dato critico: i suicidi. A gennaio ne sono stati registrati uno ogni tre giorni. Questo fenomeno è complesso e frutto di molteplici variabili, ma non si può escludere che siano in parte condizionati dalle condizioni delle strutture.
È, dunque, importante far luce su questa realtà che poiché nascosta si stenta a comprendere e conoscere. Questi numeri, dietro ai quali vi sono persone, sono infatti in netto contrasto con il processo di rieducazione del detenuto e con le funzioni che il carcere dovrebbe avere, oltre a quella incapacitante.
Sarebbe necessario, pertanto, accogliere la complessità del fenomeno e introdurlo nel dibattito quotidiano.
Alberto Fioretti