Ritratto di Vladimir Putin, l’uomo che terrorizza l’Occidente
Freddo, risoluto e deciso. Tre aggettivi che ben identificano la personalità di Vladimir Putin. O almeno così pensavamo prima che aggredisse l’Ucraina. Da allora l’immagine dello Zar è sembrata appannarsi, quasi sbiadire in favore di una raffigurazione molto più bestiale. La ferocia, infatti, con cui il leader del Cremlino ha attaccato l’Ucraina ha lasciato sbigottito il mondo intero e ha riacceso i più torbidi incubi sul futuro dell’umanità. Un futuro sempre più minacciato dall’uso della bomba atomica. Un pericolo questo che ha indotto molti analisti a ricercare le ragioni che possono aver spinto il dittatore russo a gettare così repentinamente la maschera dopo anni di placida amministrazione del potere. C’è chi dice che Putin abbia invaso l’Ucraina per realizzare il grandioso disegno di ricostruire la Grande Russia di Pietro I, unificando tutte le nazioni di etnia russa sotto un’unica bandiera; per altri egli non sarebbe più lucido e, temendo avvicinarsi la fine del suo dominio, ha deciso dunque di occupare l’Ucraina per restare nella storia del suo paese. Una storia che, come nella migliore tradizione russa, si intreccia con quella dei suoi più carismatici leader e che affonda le sue radici negli ultimi anni dell’URSS.
A quei tempi, Vladimir Vladimirovic Putin, nato a Leningrado il 7 ottobre 1952, figlio di un sommergibilista della Marina Sovietica e di un’operaia, operava a Dresda, nell’ex Germania dell’est, come ufficiale di collegamento per conto del KGB. Nello svolgimento di tali incarichi egli, avvalendosi di una fittizia identità d’interprete, si rivelò metodico e scrupoloso. Tuttavia, è accertato che, come agente segreto, non ha mai preso parte ad operazioni sul campo. Al contrario, l’unico avvenimento degno di nota del periodo trascorso in Germania risale al novembre del 1989, allorché Putin, rimasto da solo a presidiare l’ambasciata sovietica, ha respinto l’assalto di un gruppo di anticomunisti. Con la fine dell’URSS, Putin lascia il KGB e diviene consigliere di Anatolj Sobcak, storico sindaco di San Pietroburgo ed ex professore di Putin alla facoltà di Legge. Per quattro anni Putin opera a stretto contatto con il sindaco, instaurando una fitta rete di relazioni e amicizie. Collaboratori che lo hanno accompagnato nella sua ascesa al potere dopo Eltsin e che hanno reso Putin quello che è oggi. Dal 2000 in poi, infatti, questi oligarchi, apolidi detentori di patrimoni miliardari, lo hanno assecondato in ogni sua velleità egemonica. Lo hanno fatto in Cecenia nel 1999, in Georgia nel 2008 e in Crimea nel 2014. Tuttavia, il peso delle sanzioni imposte dall’Occidente sembra oggi, con il mondo alle soglie della Terza Guerra Mondiale, far tentennare questi potenti oligarchi. Infatti, per la prima volta dopo vent’anni, il regime di Vladimir Putin non sembra più essere così solido. In molti iniziano a temere un imminente default della Russia e questo potrebbe aprire la strada a un cambio di governo. Ciò è già accaduto nel 1991, quando il colpo di Stato contro Gorbaciov portò al potere Eltsin e può quindi accadere di nuovo. Del resto, come diceva Churchill, la Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma. Per cui aspettiamoci di tutto.
Gianmarco Pucci