Come la Commissione Europea sta gestendo la paventata uscita della Polonia dall’UE?
Da qualche anno sulle pagine dei giornali la parola “Polexit” che ricalca esplicitamente il termine “Brexit” utilizzato per descrivere l’uscita del Regno Unito dall’Europa. L’uso dell’acronimo in questione nasce in seguito all’emissione di una sentenza storica della Corte costituzionale Polacca che stabilisce la supremazia delle leggi polacche su quelle europee.
Nonostante in molti pensino che l’utilizzo di questo termine sia fuorviante, è utile cercare di capire a chi effettivamente converrebbe un’eventuale uscita della Polonia dall’Unione Europea. Di certo non al governo polacco, che nonostante sia interessato a difendere la propria libertà di azione e a rivendicare la sovranità nazionale, non è in alcun modo disposto a lasciare una risorsa così utile di denaro, senza la quale rischierebbe il collasso economico.
Fonte: Euractiv
Bruxelles, ormai stanca delle continue violazioni, ha annunciato a più riprese che farà di tutto, anche bloccare i fondi del Recovery Plan, pur di fermare la disobbedienza di Varsavia. La linea “morbida” adottata negli ultimi mesi da Ursula Von Der Leyen, che ha molto a che fare con la forte posizione antirussa della Polonia, è stata giustificata da lei stessa come un modo per proteggere i cittadini polacchi, i meno interessati a lasciare l’Unione.
Fonte: Inchiostro Virtuale
In realtà è evidente come anche per la Commissione europea un’eventuale Polexit sarebbe ancora più disastrosa della Brexit, perché le aziende polacche sono molto più integrate nel sistema europeo rispetto alle aziende inglesi.
Infine, c’è la Germania, che stronca sul nascere l’idea di perdere la Polonia, uno dei paesi più importanti al mondo per Volkswagen.
È evidente quindi come il termine Polexit non sia utile a chiarire la realtà dei fatti ma di certo permette di aprire un dibattito sul rapporto dell’Europa con i cosiddetti paesi “ribelli”.
Alberto Fioretti