Possiamo vedere “Napoleon” come un film di avventura della quale già conosciamo l’epilogo, oppure provare a riflettere sull’assurdità dei conflitti bellici
Possiamo dire che Ridley Scott è un regista che ha riempito il mondo di cinema, di buon cinema. A volte ottimo, addirittura straordinario. Cito a memoria: I duellanti del 1977, Blade runner del 1982, Black rain del 1989, Thelma & Louise del 1991, Il gladiatore del 2000, Black hawck down del 2001 e ancora tanti altri, ma davvero tanti.
Eccolo ora in sala con un nuovo film, un colossal, un film, cioè, spettacolare, ad alto costo, in grado di colpire l’attenzione dello spettatore per la sua imponenza produttiva. Napoleon è esattamente tutto questo. Un Colossal, quello che Francesco Rosi amava definire Cinematografo.
Fonte: My Red Carpet
Siamo nel 1793, in piena Rivoluzione francese, Napoleone è ancora solo un semplice ufficiale, tuttavia le sue intuizioni strategiche, che portano alla riconquista della città di Tolone, all’epoca assediata dagli inglesi, lo mettono subito in mostra come un predestinato verso una carriera militare piena di successi.
La pellicola inizia in questo modo, con l’ascesa del Corso che sembra inarrestabile, così come sembrano inarrestabili le vicende che lo coinvolgono. La grande passione per l’aristocratica vedova Giuseppina di Beauharnais che diverrà sua moglie; le conquiste militari con la trionfale Campagna d’Italia e quella d’Egitto; la nomina a Primo Console all’interno del Direttorio, organo preposto al governo della Francia dopo la grande confusione creata dalla Rivoluzione.
L’ascesa al trono nel 1804, dove viene nominato Imperatore dei francesi. Tutto va veloce, senza freni. Il ministro degli esteri Talleyrand sembra quasi avvertire questa ansia e propone agli austriaci un’alleanza, un modo per fermare le guerre che da secoli stanno distruggendo l’Europa, ma questi respingono l’idea.
Un anno dopo, Napoleone sconfigge gli austriaci e i russi nella battaglia di Austerlitz. È il momento di massima ascesa del Corso. Da questo istante, nonostante una inutile vittoria riportata nella battaglia di Borodino che gli permette di entrare a Mosca, ha inizio la sua china verso il basso.
Fonte: SentireAscoltare
Siamo ormai nel 1812, le pesanti perdite subite durante la campagna di Russia, (oltre mezzo milione di morti), inducono Napoleone a ritirarsi in Francia. Due anni più tardi, nel 1814 la sesta coalizione costringe l’imperatore all’abdicazione e all’esilio nell’isola d’Elba.
Intanto negli anni passati anche la sua vita personale ha subìto forti scosse: il doloroso ripudio dell’amata Giuseppina che non riesce a dargli un erede ed il conseguente matrimonio con Maria Luisa d’Austria, lo pongono in una posizione di sofferenza che l’esilio all’Elba non potrà che acuire. Tuttavia, come sappiamo, non finisce qui.
Nel 1815, sentendo che Giuseppina è malata, Napoleone scappa dall’isola e, dopo l’ottenimento del consenso da parte della quinta armata mandata dal re Luigi XIII per fermarlo, torna al potere in Francia. Non farà, comunque, in tempo a rivedere l’amata che muore prima che egli arrivi. Siamo ormai verso l’atto finale. Nella battaglia di Waterloo, nel giugno dello stesso anno Napoleone, che è riuscito a raccogliere più truppe, affronta l’esercito del duca di Wellington e viene duramente sconfitto. L’esilio è la dura strada che il Generale dovrà di nuovo percorrere. Questa volta però non sarà la vicina e comoda Elba, ma la piccola isola di Sant’Elena, poco più che uno scoglio, situato nell’oceano Atlantico, quasi a mezza via tra il continente africano e il sud America.
Fonte: Best Movie
Napoleone morirà il cinque maggio del 1821 e nella didascalia che anticipa la parola fine alla pellicola si pone in evidenza che nelle sue guerre sono morte circa 3 milioni di persone.
Fin qui la trama, una storia che sta sui libri di storia e che noi tutti, almeno per grandi linee, conosciamo. Tuttavia, io mi soffermerei proprio su queste ultime parole che Ridley Scott ha voluto evidenziare a chiusura della sua opera. La guerra, la morte. Tre milioni di esseri umani che spariscono dalla faccia della terra solo per la smania di potere di un uomo, in realtà di più uomini. Gli insani esercizi di strategia bellica, un gioco, quasi un risiko e dietro questo solo distruzione e dolore.
Il colossal di Ridley Scott ci mostra con un realismo straordinario come si svolgevano le grandi battaglie, come la fanteria avanzava indefessa mentre gli avversari, (immagino che li considessero così gli alti ufficiali, i generali che dirigevano le operazionie, come giocatori di una grande partita), puntavano i fucili contro di loro.
E ancora loro, questa volta i fucilieri, venivano travoilti dalla cavalleria e poi l’artiglieria, le bombe, il fuoco, la distruzione.
Ecco, possiamo vedere questo Napoleon come un film di avventura, un’avventura della quale già conosciamo l’epilogo, oppure possiamo provare a fermarci e a riflettere, a ragionare sull’assurdità dei conflitti bellici. Soprattutto adesso che la guerra sembra ripresentarsi con forza proprio affianco alle nostre vite beate.
Mi piace pensare che Ridley Scott abbia voluto mettere in evidenza proprio questa assurdità. Come Francesco Rosi in Uomini contro o Monicelli ne La grande guerra, che raccontano un conflitto badate che è arrivato molto dopo le guerre napoleoniche.
Un plauso, infine, alle straordinarie scenografie e coreografie delle battaglie e dei ricevimenti a corte, ai costumi e agli attori tutti, con un cenno particolare al premio oscar Joaquin Phoenix, sempre all’altezza di se stesso.
Lello Mingione