Gli emigranti italiani hanno portato sulle loro tavole di espatriati all’estero l’essenza dell’italianità, rivisitando le ricette della tradizione tramite la contaminazione con ingredienti e gusti del posto. Un viaggio interessantissimo ne I Racconti delle radici
Giunta alla sua ottava edizione nel mese di novembre, la Settimana della Cucina italiana nel mondo ha promosso numerose iniziative tese a valorizzare il patrimonio gastronomico nostrano attraverso la rete di ambasciate, consolati e istituti di cultura italiani in più di cento Paesi.
Dalle degustazioni ai seminari sulla dieta mediterranea, dagli incontri con gli operatori economici agli eventi con gli chef, la Settimana ha visto brillare la tradizione del Bel Paese per la buona tavola in ogni dove, in collaborazione con la Fondazione Casa Artusi, dedicata a Pellegrino Artusi, ovvero l’autore, negli ultimi anni dell’Ottocento, del libro di ricette italiane che segna ancora oggi l’identità della nostra gastronomia nazionale (La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene).
In collaborazione con l’Accademia Italiana della Cucina e con Gambero Rosso è stata poi pubblicata la Storia della cucina italiana a fumetti.
Inoltre, la rivista La Cucina Italiana ha divulgato una raccolta monografica di ricette dal titolo I racconti delle radici. Fra questi, la famosa “Milanesa a la napoletana” o gli “Spaghetti with meatballs”. Nel primo caso, tipico delle tavole degli emigrati italiani in Argentina, si tratta di una fusione fra la cotoletta impanata e fritta alla milanese e una fettina alla pizzaiola, con l’aggiunta di salsa di pomodoro, origano e mozzarella. Il tutto scaldato in forno per armonizzare gli ingredienti e servito con purè di patate o insalata. Nel caso, invece, degli spaghetti con le polpette, diffusi fra gli italiani in America, si devono aggiungere agli spaghetti al pomodoro, polpette di dimensioni abbastanza generose di due o tre tipi di carne: manzo, vitello e maiale.
I racconti delle radici, pubblicato dalla rivista La cucina italiana – Fonte: Ministero degli Esteri (Mae)
Milanesa a la napolitana – Fonte: Ministero degli Esteri (Mae)
Ricorderete, a proposito, una scena del film di Martin Scorsese Italianamerican (1974) e anche di Saturday Night Fever (1977) del regista John Badham. Prima ancora però, per i più romantici, il cartone animato della Disney Lilli e Il vagabondo (1955).
Altro capolavoro della contaminazione sociale, questa volta italo-newyorkese e degli italiani nel New Jersey, è il Chicken Parmisan, espressione di quell’ampio desiderio di carne, destinata però alle tavole dei più benestanti, che sostituisce con il pollo la parmigiana di melanzane, aggiungendo per l’apporto proteico anche uova, parmigiano, salsa di pomodoro e pangrattato. Più avanti, quando il benessere sarà più diffuso, ecco che le melanzane vengono sostituite dalla carne di vitello e così il nome di questa pietanza diventa Veal Parmisan.
Chicken Parmesan, al posto delle melanzane c’è il pollo “alla parmigiana” – Fonte: Ministero degli Esteri (Mae)
Esistono poi una varietà di panini incredibili. Da quelli storici di New Orleans, come il Muffuletta, elaborato da un salumiere immigrato siciliano (Salvatore Lupo), proprietario nel 1906 di una grocery nel quartiere francese, che inventò un grande panino rotondo, imbottito a più non posso di salame, mortadella e prosciutto, sottaceti e verdure sott’olio, provolone e caciocavallo. Questo grande sandwich viene servito tagliato a croce, in quattro parti.
Muffuletta, panino imbottito di salumi, verdure sott’olio e provolone – Fonte: Ministero degli Esteri (Mae)
La creatività delle ricette descritte ne I racconti delle radici non finisce di stupire, se si pensa che, agli albori, queste “soluzioni” per la tavola dei nostri emigranti italiani erano dettate dal desiderio, da parte loro, di mantenere la tradizione gastronomica del Bel Paese, senza potersi avvalere però di tutti gli ingredienti necessari a replicare i piatti nella dovuta maniera. Non ultime, poi, anche evidenti ragioni di portafoglio. Ma con la loro estrema creatività sono venute fuori cose come la Pizza Pie (pizza sottile e al taglio che si mangia a New York) o quella con le vongole, inventata da Frank Pepe nel 1925. Chiamata Apizza nella sua pizzeria napoletana di New Haven, sulla costa atlantica del Connecticut, è bianca, con vongole, formaggio grattugiato, aglio tritato e origano.
Se l’uomo è ciò che mangia, come ci insegna la filosofia, per l’emigrante il cibo è soprattutto un modo per sentirsi ancora a casa, in patria, e i sapori, benché rimaneggiati con ingredienti diversi da quelli della tradizione, sono la linfa che alimenta i ricordi più cari. Per la comunità italiana all’estero tutto questo è stato ed è ancora certamente vero.
Daniela BLU