Sono stati molteplici gli attacchi portati a questo minuscolo Stato che però, armato sino ai denti, ha sempre avuto la meglio
Accingersi a scrivere un articolo su quanto sta avvenendo in Israele rappresenta un’impresa ardua dove non è chiaro se occorra una maggiore dose di coraggio o di incoscienza. Ad ogni modo, provare a tornare indietro nel tempo e cercare di comprendere meglio il perché di ciò che, non da oggi, avviene ciclicamente in quella parte di mondo, può rappresentare un arricchimento culturale ed un elemento in più su cui riflettere.
Ricordo di essere stato in Terra Santa nel 2015 e di aver visitato, oltre ad Israele anche la Giordania, nazione affascinante come la sua Regina Rania. In quell’occasione il nostro caro amico Don Giovanni che ricopriva anche il ruolo di Guida, ci invitò a non dare giudizi basandosi sulle notizie che arrivano in occidente poiché queste non danno un quadro completo della situazione. Il riferimento era legato alla questione Israelo-Palestinese.
Un consiglio utile che, ancora oggi, torna nella mia mente ogni qual volta i media ci mostrano le brutali immagini di violenza e di guerra che macchiano di sangue quella terra. Ho chiaramente davanti agli occhi la struttura del confine che separa gli Stati di Israele e Giordania: una realtà militarizzata all’ennesima potenza. Sempre in quell’occasione, entrammo in territorio palestinese e, come spesso accade in queste circostanze, vennero alla memoria tutte le drammatiche scene riportate da giornali e telegiornali.
Ma proviamo ad avviarci in questo viaggio nel tempo per capire meglio la Storia e le motivazioni che spingono israeliani e palestinesi a fronteggiarsi senza mai riuscire a scrivere la parola FINE.
La Storia di Israele affonda le proprie radici nel Paleolitico. Gli archeologici hanno trovato, nel corso degli anni, tracce di insediamenti proprio legate a quel periodo. I primi popoli semiti, però, giunsero intorno al III millennio a.C. Il popolo ebraico arrivò alla metà del II millennio a.C. periodo, questo, caratterizzato da un regime di forte aridità (erano stati sottomessi dai Cananei, abitanti dell’area geografica che comprendeva, in linea di massima le attuali zone del Libano, Palestina ed alcune parti della Siria e della Giordania) e che spingeva molte popolazioni a cercare nuove aree per vivere.
Il più antico documento extrabiblico in cui compare il termine Israele: la Stele di Merenptah, o Stele d’Israele – Fonte: Wikipedia
Una realtà millenaria, dunque, che sarebbe impossibile esaminare nella sua interezza, rispettando la lunghezza di un articolo. Proveremo quindi a prendere in esame, dopo questo incipit storico, la questione legata al XIX ma soprattutto al XX secolo, ovviamente d.C.
Le prime forme di migrazione ebraica verso la Palestina, si ebbero sul finire dell’Ottocento quando questa era una provincia dell’Impero Ottomano. Il popolo ebreo era in fuga dalle persecuzioni russe. Sempre nel XIX secolo, iniziò la formazione del cosiddetto Sionismo, ovvero un movimento nazionale ebraico avente come obiettivi il ritorno in Palestina (da qui le ondate migratorie) nonché la realizzazione di un’entità politica ebraica. Ideatore di tale spinta fu Theodor Herzl. Nel 1870, a nord di Jaffa, fu fondata la scuola agricola “Mikve’ Israel”, destinata a diventare l’odierna Tel Aviv.
Il Primo Congresso Sionistico volto a contrastare ogni qual si voglia forma di antisemitismo si ebbe a Basilea il 29 agosto 1897 ed in quella circostanza venne fondata l’Organizzazione Sionistica.
Qualche anno dopo e nel nuovo secolo, era il 1901, si giunse al quinto congresso ed in quell’occasione fu ideato il Fondo Nazionale Ebraico con il compito di acquistare terreni in terra d’Israele.
Nel 1902, il Regno Unito, propose la realizzazione di uno Stato ebraico in Africa, nello specifico in Uganda. Pur essendo stata approvata dal Congresso, la proposta non ebbe mai seguito.
Il 1904 vide la seconda ondata immigratoria, sempre legata alla persecuzione russa e di altri Paesi dell’Est Europa attraverso i Pogrom, ovvero le sommosse popolari nei confronti di minoranze religiose.
Quasi sul finire del primo decennio del ‘900 (1909) nacque l’attuale Tel Aviv ed il primo “kibbutz”, cioè una formazione composta da lavoratori nei pressi del lago Tiberiade il cui scopo era operare al fine della “proprietà collettiva”, con regole egualitarie.
Fu nel 1917, in pieno conflitto mondiale, che il Regno Unito riuscì ad avere la meglio sull’Impero Ottomano. Da questa vittoria nacque, il 2 novembre, la Dichiarazione Balfour, una Carta a firma dell’allora Ministro degli Esteri Arthur Balfour in cui il governo britannico appoggiava l’idea di una “dimora nazionale per il popolo ebraico” in Palestina.
Nel documento veniva sottolineato come “i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche della Palestina” non avrebbero dovuto subire alcun danneggiamento. E, sempre in questa circostanza, gli Inglesi promisero l’autodeterminazione al popolo palestinese.
Nel 1920 il Governo britannico ebbe l’incarico dalla Società delle Nazioni di esercitare il “Mandato sulla Palestina”, ovvero il controllo su quei territori destinato a durare sino al 1948. Da parte araba vi fu una chiusura in tal senso; la parte sionista, invece, vide di buon grado tale “gestione” anche in virtù delle promesse passate per la realizzazione dello Stato ebraico.
E proprio sullo slancio di questo “nuovo” controllo venne istituita la Haganah, una forza paramilitare clandestina volta a preservare gli insediamenti ebraici in Palestina.
Agli albori degli anni ’30 si fecero sempre più insistenti le azioni antiebraiche da parte della popolazione araba, contrastata proprio dalla Haganah.
Tra il 1924 ed il 1932, iniziò una nuova fase migratoria, proveniente dalla Polonia e nel 1933 dalla Germania, a seguito delle Leggi razziali emanate proprio in quel periodo dalla dittatura Nazista.
La Storia dell’Olocausto è cosa nota e sappiamo come gli Ebrei vennero deportati nei Campi di Concentramento trovandovi, nella maggior parte dei casi, la morte.
Il 1939 rappresentò l’inizio di un nuovo capitolo: la formazione di uno Stato Ebraico. Fu proprio in quell’anno che avvenne la pubblicazione di quello che in gergo si definisce “Libro bianco”, un rapporto ufficiale del Governo (in questo caso britannico) che poneva fortissime limitazioni all’immigrazione ma anche alla vendita di terreni agli ebrei.
Come risultato si ebbero navi di immigrati respinte o affondate e la nascita di gruppi terroristici ebraici che operarono fino alla dichiarazione dello Stato di Israele, con azioni contro arabi e inglesi attraverso gesti estremi come il lancio di bombe in luoghi pubblici (la più terribile quella al King David Hotel di Gerusalemme dove morirono più di cento persone) e l’assassinio del mediatore ONU, il conte svedese Folke Bernadotte.
Qualche anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1947, il Regno Unito decise di rimettere il “Mandato palestinese” nelle mani dell’ONU che fu costretta a prendere atto del radicale cambiamento che c’era stato in quei territori; infatti, se gli ebrei trent’anni prima rappresentavano la minoranza della popolazione, adesso erano arrivati ad un terzo dei residenti in Palestina, pur possedendo solo il 7% di questa contro il 50% degli arabi e del Governo britannico.
Fu così che il 29 novembre dello stesso anno, l’Assemblea Generale approvò la “Risoluzione n.181”: la divisione in due Stati, uno ebraico e l’altro arabo. In origine, tale spartizione vedeva assegnate allo Stato ebraico tre aree collegate da incroci extraterritoriali; quello arabo, invece, avrebbe avuto anche un’enclave a Giaffa. E Gerusalemme? In virtù dei motivi religiosi, questa e Betlemme, avrebbero avuto lo status di zona internazionale sotto giurisdizione ONU.
Fonte: limesonline.com
Pur non considerandola come la migliore soluzione, la maggior parte della popolazione ebraica accettò tale scelta anche se questa risultava frammentata; sul fronte arabo vi fu un rifiuto motivato dalla volontà di negare la creazione di uno Stato ebraico e dal timore che tale spartizione del territorio avrebbe chiuso i territori assegnati alla popolazione araba. Altri ancora non ritennero giusto che a quella che veniva ancora considerata minoranza della popolazione venisse assegnata una così ampia area. L’Alto Comitato Arabo, organo rappresentativo dei Palestinesi, respinse la risoluzione con tre giorni di sciopero e sommosse antiebraiche.
Nel maggio del 1948, l’esercito britannico si ritirò definitivamente da quella zona geografica lasciandola nelle mani degli abitanti. E proprio in concomitanza a tale scelta, le truppe di Egitto, Iraq, Libano, Transgiordania e Siria, colpirono lo Stato di Israele dando vita a quella che passerà nella Storia israeliana come “Guerra d’indipendenza”. L’allora Segretario generale della Lega Araba ‘Abd al-Rahmān ‘Azzām Pascià definì tale attacco “una guerra di sterminio e di massacro della quale si parlerà come dei massacri dei Mongoli e delle Crociate”.
Lo scontro conclusosi nel maggio del 1949, però, vide la parte araba avere la peggio e segnò la “causa” dei conflitti successivi: 700.000 profughi arabi furono costretti ad abbandonare le loro proprietà cedendole al vincitore senza potervi rimettere piede. Non furono neanche accettati dai “fratelli” musulmani che, volutamente, decisero di chiudere le frontiere degli Stati arabi al fine di esercitare una pressione morale su Israele.
Da allora sono stati molteplici gli attacchi contro questo minuscolo Stato che però, armato sino ai denti, ha sempre avuto la meglio: la Guerra per il Canale di Suez (1956), La Guerra dei sei giorni (1967), La Guerra del Kippur (1973) ed il conflitto Israelo-Palestinese che, dal 1973, dura sino ad oggi.
Quest’ultimo vide, nel 1988, con la rinuncia di Re Husayn di Giordania alla “tutela” del territorio cisgiordano, la nascita del gruppo terroristico di Hamas che, con la dichiarazione della Jihād, diede il via alla prima Intifada. Una serie di attentati contro Israele e non solo.
Fonte: Terrasanta.net
Con la fine del gigante Sovietico vi fu anche il termine del conflitto tra Iraq ed Iran e l’inizio della Guerra del Golfo contro l’Iraq. Erano i primi anni ’90.
Il Libano decise di siglare un accordo di pace con la Siria e dare il via al disarmo di tutti i gruppi armati eccezion fatta per gli Hezbollah filosiriani ed antisraeliani.
Nel settembre del 1993, il Leader Arafat a capo del popolo palestinese, riconobbe lo Stato di Israele accettando i negoziati ed impegnandosi a rigettare ogni forma di violenza.
Purtroppo, da quella stretta di mano “storica” tra Arafat e Rabin con la presenza del Presidente americano Clinton, i conflitti non sono mai venuti meno.
Fonte: Wikipedia
Nell’anno 2000 i Leader Barak (Israele), Arafat (Palestina) e Clinton (USA) si incontrarono per ulteriori trattative, ma il capo palestinese respinse l’offerta per l’impossibilità di trovare un accordo sul territorio dello Stato di Palestina, sullo status di Gerusalemme e sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Barak offrì ad Arafat il 100% della Striscia di Gaza ed il 73% della Cisgiordania destinato a diventare, in una forbice di 10/25 anni il 90%. Ad Israele sarebbe rimasto, comunque, il controllo del territorio cisgiordano con la cessione di una parte del deserto del Negev.
Mappa di Israele dopo la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese – Fonte: Wikipedia
Quando il futuro Leader israeliano Ariel Sharon, ancora all’opposizione, si recò alla spianata delle moschee di Gerusalemme, la sua presenza venne letta come una provocazione per la parte palestinese. Sharon, inoltre, definì pubblicamente la parte est di Gerusalemme come territorio d’Israele. Le proteste non tardarono a giungere e vennero duramente represse con la morte di 61 palestinesi e 2.657 feriti. La polizia israeliana, nell’ottobre del 2000, uccise dodici palestinesi che risiedevano in Israele ed un palestinese della Striscia di Gaza. Iniziò la seconda Intifada.
Fonte: AGI
Barak si dimise e l’anno seguente, nel 2001, le truppe israeliane distrussero il porto di Gaza.
Con la morte di Arafat, avvenuta nel 2004, apparvero possibili nuovi scenari di “pace”. Abū Māzen divenne il Primo Ministro palestinese ma le tensioni non cessarono di esistere.
Oggi, dopo questo “viaggio” nel tempo, siamo ancora una volta davanti a degli scontri cruenti che continuano a cospargere di rosso la “Terra Promessa” dell’Antico Testamento, trasformandola di fatto in una Terra di sangue.
Stefano Boeris