La democrazia, per dirla con Isabelle Allende, è come la salute: “Quando c’è è come se non ci fosse, ma è quando la si perde che si finisce per rimpiangerla”
La chiamano Cueca sola e più che una danza è diventata negli anni il simbolo di un dolore condiviso da un’intera comunità nazionale. Un rito che si ripete periodicamente e che le donne cilene sostengono, di generazione in generazione, mosse dall’inestinguibile desiderio di conoscere la verità sulla sorte dei propri cari.
A cinquant’anni esatti dal golpe reazionario di Pinochet, che depose violentemente il governo democratico di Salvador Allende, sono infatti ancora più di mille i desaparecidos che mancano all’appello. Persone che sono scomparse senza una ragione, semplicemente perché ostili alla svolta autoritaria impressa al paese dai suoi militari. Tanto che, per consegnare definitivamente alla storia la verità su tali misfatti, il presidente del Cile, Gabriel Boric, ha istituito un programma governativo speciale, incaricato di reperire informazioni su questi cittadini spariti senza lasciare traccia.
Tale iniziativa si prefigge altresì di consentire un’autentica riconciliazione collettiva che, concretamente, ancora manca alla nazione. Attualmente, infatti, la società civile cilena risulta fortemente polarizzata fra quanti rimpiangono la dittatura e quanti, al contrario, la ripudiano fermamente. Basta pensare che, solo pochi giorni fa, Boric è stato costretto a rimuovere il coordinatore del programma sulla commemorazione, reo di aver implicitamente assolto le atrocità perpetrate dai sicari di Pinochet.
Per non parlare del fatto che la politica della nazione sudamericana è tuttora saldamente nelle mani di poche famiglie, molte delle quali ebbero parte attiva nell’organizzazione e nella gestione del colpo di Stato.
Emblematico è il caso di Sebastian Pinera, presidente del Cile fino all’anno scorso, e fratello del più famoso Josè, ministro dell’industria di Pinochet, nonché economista di punta della cosiddetta “scuola di Chicago”. Il riferimento agli Stati Uniti, per la verità, non è puramente casuale se si vuole comprendere ciò che è avvenuto l’11 settembre 1973.
Fonte: BioBioChile
Difatti, all’indomani dell’elezione di Allende nel 1970, gran parte della produzione mineraria cilena era controllata dalle grandi aziende statunitensi. Non solo l’estrazione del rame, ma anche altri settori utili allo sviluppo economico del paese erano interessati dall’opera predatoria americana. Dalle banche all’energia elettrica, fino ad arrivare ai trasporti, alle telecomunicazioni e al gas naturale, l’economia del Cile era in tutto e per tutto dipendente dagli investimenti Usa. Ciò portò l’amministrazione statunitense a boicottare apertamente il governo di Allende, forte della necessità di evitare la nazionalizzazione del 90% dell’industria privata voluta dal nuovo presidente.
Inoltre, a Washington non era condivisa la crescente influenza dell’Urss sul paese. I frequenti contatti poi fra Fidel Castro e Allende furono la goccia che fece traboccare il vaso e che diede il via all’operazione “Condor”. L’opera di sabotaggio degli Stati Uniti iniziò con la sospensione del credito alle banche cilene. Questo provocò un drastico innalzamento dei prezzi e la mancanza di materie prime nel paese. I sindacati dichiararono la mobilitazione generale, inaugurando scioperi a catena in tutta la nazione. Alla vigilia del golpe, su Santiago aleggiava un clima irreale.
Dopo le dimissioni del generale Pratts, ministro della difesa, le camere dichiararono conclusa l’esperienza del gabinetto Allende e ordinarono ai militari di intervenire per ripristinare l’ordine costituzionale violato dal presidente. Alle 12 del 11 settembre Augusto Pinochet, Comandante generale dell’esercito, ordinò lo stato d’assedio in tutto il paese. Rapidamente iniziò il bombardamento della Moneda, il palazzo presidenziale, da parte dell’aviazione, mentre l’esercito ingaggiava un aspro combattimento con le guardie di Allende.
Alle 14 il palazzo era ormai espugnato, il presidente era morto, ufficialmente per suicidio, e il paese era liberato dall’incubo marxista. Pochi giorni dopo prese il via la persecuzione degli oppositori politici, molti dei quali torturati e uccisi nello Stadio Nazionale del Cile. Fra tutti, il cantante Angel Parra e il regista Victor Jara furono fra le vittime più illustri della follia golpista (il poeta Pablo Neruda morirà invece nella sua dimora, sotto la sorveglianza dei carabineiros).
Tutto ciò sotto gli occhi di un mondo distratto dai problemi della crisi petrolifera e il cui silenzio è stato per anni complice della dittatura. Il ruolo svolto dalla Cia nell’armare le forze armate cilene, per quanto non determinante, ha infatti fornito un apporto fondamentale alla buona riuscita del colpo di Stato. Ugualmente la strategia perseguita in quegli anni dall’amministrazione Nixon, volta al consolidamento della leadership statunitense in un’area fortemente influenzata dal mito della rivoluzione castrista.
Al riguardo, lo stesso Henry Kissinger si ritroverà ad ammettere come l’appoggio incondizionato al golpe fosse inevitabile per preservare le “buone ragioni” del capitalismo a stelle e strisce nel mondo. Tale fulgido esempio di pragmatismo politico, invero, è la miglior prova di come la Real Politik abbia clamorosamente fallito in America Latina.
La democrazia è, infatti, un bene troppo prezioso per essere imposto con la forza. Essa, per dirla con Isabelle Allende, è come la salute: “Quando c’è è come se non ci fosse, ma è quando la si perde che si finisce per rimpiangerla”.
Ecco perché è dovere di ognuno preservarla, senza dimenticare il sacrificio di quanti sono morti per garantirla alla collettività.
Gianmarco Pucci